Opere come quelle di Andrea Anastasio (Roma, 1961) sono fastidiose come un sassolino nella scarpa: è piccolo, è vero, ma ad ogni passo rinnova la seccatura. Così questo nuovo lavoro del nomade Anastasio (o forse sarebbe più opportuno dire apolide, nel senso più puro del termine, poiché ha studiato a Venezia, vive principalmente a Madras, con pause a Napoli), ad ogni supposta conclusione di sistemazione e definizione, ri-apre nuove domande e nuove letture. Sono opere per le quali è difficile trovare un’univoca interpretazione, perché hanno tanti (ma forse mai troppi) livelli di contenuto, ognuno risultante dal percorso di significazione che si vuole affrontare al momento dell’approccio.
Una lineare cornice luminosa con un lato ad arco a tutto sesto, posta a pochissimi centimetri dal suolo. Tutto qui. Nella più assoluta semplicità. Ma è esattamente questa semplicità che incastra la nostra mente. Da che punto la si vuole leggere-vedere? Dall’idea del curatore Marcello Smarrelli? La “richiesta ad artisti provenienti da ambiti diversi di produrre un oggetto dall’uso inedito, rivestito di una certa sacralità”. Da quello della materia (un tubo a neon)?. Da quello filosofico-religioso-culturale? Dal punto di vista individuale (dell’artista e/o dello spettatore?).
Prima di tutto il titolo –che per l’artista è parte fondante dell’opera-: Quaggiù. La forma, con prepotenza e poesia, evoca quella delle edicole religiose che a Roma, ma soprattutto a Napoli, si trovano sulle facciate o sugli angoli degli edifici, che allo stesso tempo ricalcano le edicole dei Lari Romani. Oggetto di quotidiano culto, colme di totale ossequio e di una piccola dose di superstizione, testimoniano e raccontano un’intima tradizione e gli usi di una comunità. Un indiscusso valore aggiunto è la formazione dell’artista: studi filosofici e progetti di design.
Svuotata delle sue connotazioni storico-religiose, rilevandone la sua componente strutturale di cornice, l’edicola infatti non è più in una posizione alta, ma si abbassa, come a voler ricordare che, per comprendere le debolezze e le doti dell’uomo, bisogna porsi al suo stesso livello. Ed il neon, solitamente associato alle insegne luminose di punti commerciali, disegnandone solo il profilo, appare con la sua fioca luce, come una bianca aureola. Affascinato dagli opposti, Anastasio, riflette infatti sulla doppia connotazione che l’oggetto ha: “alto-basso, vicino-lontano, natura-cultura, privato-pubblico, individuo-comunità, passato-futuro, concetto-emozione, nomadismo-stanzialità”. Quindi, elemento fondamentale per Anastasio è lo spiazzamento. Lo stesso che si prova anche di fronte all’altra scultura: un delicato servizio da tè, finemente decorato, il cui utilizzo è reso impossibile perchè i pezzi sono fermati a formare un unico blocco e le tazzine hanno completamente perso la loro funzione di recipiente.
daniela trincia
mostra visitata il 7 aprile 2006
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