Nuovo spazio romano (centralissimo, ospitò Il Ponte) per la triestina LipanjePuntin, che si presenta –parafrasando Bukowski– con un po’ di (in)sana musica per organi freddi. Il tutto ideato, per occhi e orecchie, da Andrea Cera (Vicenza, 1969; è artista visivo e compositore).
Luci basse –molto basse, quasi a terra– così da rendere protagonista, nel buio, posto a contatto con quello dei listoni grezzi della pavimentazione, il bianco di una serie di installazioni sonore disseminate qua e là, come stazioncine da non calpestare. Guardarsi “altezza occhi”, una volta dentro lo spazio espositivo, risulta inutile: quel che deve accadere, tra il dozzinale e il fantasmatico, accade laggiù, esattamente in mezzo ai piedi. Lettori cd portatili e diffusori acustici per il pc di casa –di quelli che costano quanto una pizza in scatola, e che pesano anche meno– se ne stanno impacchettati in ammassi geometrizzanti, minimi, isolati e senza involucri, ostentando insospettabili viscere di silicone mentre emettono sonorità aspre eppure amniotiche. Un po’ come se un ladruncolo in un ipermercato si trovasse, fuori orario, a tu per tu coi prodotti low cost della tecnologia elettronica: pronti, via, ed ecco che questi prendono a organizzarsi, a schierarsi, ad animarsi come creature di uno splatter d’altri tempi. Finché non compaiono nell’angolo le voluttuose mostruosità di un (ormai) vecchio film americano dalla vena gore pantagruelica (Society, di Brian Yuzna, 1989), in cui efferate orge tra esseri informi e sanguinolenti –anch’essi adagiati sul pavimento, in un notebook con mansioni di cinemino– alludono chiaramente all’incedere debordante della corruzione umana.
Così, a farsi massimalista, a divenire –felicemente– paesaggio è proprio l’installazione nel suo complesso: di cosa si sta parlando, infatti, se non del nostro tempo per l’occasione miniaturizzato in un plastico techno fatto di gineprai minuscoli tutt’altro che rassicuranti? Cittadelle della comunicazione “bianca”, vere centrali dell’odierno continuum glocale, edificate in un trionfo ingegneristico di bit e pixel che, portatile quanto si vuole, anch’esso fila e fonde come un organismo malsano e (fin troppo) desiderante. Una passeggiata, questa che ha luogo sul parquet della galleria, lungo uno spazio metaforico gelido e avvolgente, niveo e buio, strutturato con la lucentezza certosina di un post-minimalismo –ludico e, insieme, drammatico– che finisce per raccontare più di quel che dice.
pericle guaglianone
mostra visitata il 23 giugno 2005
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"Ah Periclee! Ah Pericleeeeeeee!!!...."
Federico Fellini, "Roma", 1972
la mostra di andra cera come inaugurazione dello spazio romano di lipanjeputin risulta incomprensibile. che vuol dire infatti unire quest'estetica minimalina, deplorevole e non solo "low-cost", ma anche "low-concept", con un capolavoro finale del new horror politico americano come "society", qui ridotto per giunta a puro scandaletto di provincia per monachelle pruriginose, cancellando in un colpo solo la critica acida e la rappresentazione sociale di un mondo intero? boh! andrea, un consiglio: ritorna alla composizione e RIMANI SEMPRE Lì, te ne prego!!!