La “città invisibile” che
Valery Koshlyakov (Salsk, 1962; vive a Mosca e Parigi) ha edificato per gli spazi della Fondazione Volume! pare restituire con straordinario vigore il carattere malinconico di questo luogo. Spazio fortemente connotato, destinato a rivisitazioni site specific, Volume! si trasforma ora in un nucleo architettonico iperbolico, fantasmagorico, imponente. Una selva di torri, pinnacoli, assemblaggi volumetrici, piani svettanti e strutture portanti invade l’intero ambiente, mettendo insieme il senso della precarietà e la magnificenza di un’incontenibile morfogenesi plastica.
Il celebre scultore russo, articolando soglie e passaggi che collegano classicità, modernità, avanguardia e attualità, si cimenta in un’operazione nostalgica di recupero dell’identità storica, rimodulandola nel segno di un’anti-monumentalità frammentata ed effimera: l’evocazione dei grandi maestri del passato, i chiari riferimenti al Costruttivismo e alle avanguardie del primo Novecento (dal Futurismo al Dadaismo, da
Tatlin a
Schwitters) trovano nuovo senso in questa combinazione giocosa di materiali poveri o deperibili – scotch, cartone, polistirolo, bitume, ferro, legno -, nelle architetture prorompenti benché provvisorie, nelle forme rigorose ma irrazionali.
L’impressione è quella di aggirarsi nei sotterranei di una città impossibile, sospesa tra crollo e ascesa, oppure di percorrere le strade intricate di un’urbe celeste, regno dell’immaginazione e dell’utopia visionaria. Un lavoro sulla memoria, dunque, e sul recupero della tradizione, nel tentativo di far convergere scultura, pittura e architettura verso una grande costruzione
in progress.
Al contempo, lo sguardo rivolto al passato si proietta in direzione d’un presente inquieto e instabile, laddove l’opera imperitura – consacrata dalla storia, celebrata e nostalgicamente evocata – si tramuta in un nuovo segno provvisorio, con cui reinventare l’esistente.
Così, le
Towers assemblate dall’artista, leggere come carta, piantate in terra come arbusti, fragili e insieme possenti, esprimono quell’impulso vitale che fonda ogni atto creativo: le labirintiche traiettorie che ospitano frammenti di metropoli inverosimili ridisegnano lo schema di un anti-spazio, luogo dell’assurdo che acquista solidità e peso nel momento in cui si tramuta in immagine percorribile.
Logica del funzionalismo, estetica della rappresentazione ed eternizzazione dell’oggetto-icona lasciano il posto a una dimensione immaginativa e processuale, in cui si moltiplicano direzioni, possibilità, formule combinatorie, ipotesi generative.
A scalare metaforicamente le torri di Koshlyakov è un uomo in fuga da città tanto immateriali quanto invasive. Città del presente stigmatizzate dal fallimento di ogni utopia, a cui contrapporre ardite deambulazioni urbane, prodotte in seno a un pensiero della memoria e del cambiamento.