Un confronto tra due artisti molto diversi tra loro è quello proposto dalla Galleria Traghetto per la sua mostra d’esordio sulla piazza romana, un accostamento che non manca tuttavia di affinità e spunti dialettici. Mirko Baricchi (La Spezia, 1970), presenta tele di grande dimensione: un progressivo emergere di sfondi nebulosi che disvelano crettature materiche, spessori attraversabili in cui si generano grafismi, delimitazioni spaziali, contatti tra realtà vissuta e costruzione formale. Le figure rappresentate assumono di volta in volta fisionomie immateriali, in cui la citazione di partenza viene assunta intimamente, svuotata da implicazioni simboliche fino a diventare icona dell’immaginario, feticcio, occasione formale e ripetizione affettiva. Le varie versioni del Bianconiglio e di Pinocchio (quest’ultimo presente anche in sculture di ferro dipinto), si combinano ad elementi di uso comune legati all’abitazione e al quotidiano, mentre il vocabolario personale rimanda ad artisti come Twombly, Bacon, Klee e Mirò, assorbiti senza intellettualismi.
Se le atmosfere fluttuanti, giocose e colloquiali di Baricchi suggeriscono il sollevamento della pelle, lo sguardo mentale, le carte di Simone Pellegrini (Ancona, 1972) evocano ritualità di pelli tatuate, ultimo strato di un processo di trasformazione ininterrotta. La dimensione organica a cui questi lavori fanno riferimento è ricostruita attraverso procedimenti di trasposizione: gli elementi disegnativi vengono eseguiti a carboncino su delle carte, in seguito impregnate d’olio e sovrapposte ad altre carte su cui si imprimerà il segno, che avrà acquistato così persistenza e pregnanza. Tutto è in sintonia con forme elaborate di sapere filosofico e antropologico, in cui la profondità dell’approccio si palesa attraverso risultati visivi spontanei.
Corpi incastrati, accuratamente collocati nel loro trascinarsi in vortici energetici; elementi geologici, vegetali e animali, tracciati con linee terrose, incisive nella loro delicatezza. Le sedimentazioni della memoria come motivi, in assonanza con le età dell’uomo e dell’umanità. Per entrambi gli artisti, questi motivi non sono mai ornamentali, ma fortemente narrativi e intrecciati alla percezione corporea della storia. Anche se non sempre ineccepibili dal punto di vista espositivo (la galleria si starà ambientando nei nuovi spazi?), i percorsi visivi della mostra, curata da Alberto Zanchetta, rispondono efficacemente ad una certa esigenza di primitivismo. Da intendersi non tanto in senso storico, quanto umano ed etico. Come purezza sensibile dell’immagine.
daniele fiacco
mostra visitata il 5 ottobre 2006
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