Il colore era già sotto, strati di tempera dati,
L’Emersione, Matteo Montani (Roma, 1972)la ottiene semplicemente strofinando sulla superficie della carta abrasiva: una forma senza nome, con il perimetro sfrangiato, sfumato, impreciso, che suggerisce una possibilità di continuare, fino a scoprire tutta la parete, a ritrovare l’intera traccia, segno indelebile del primo intervento.
Un’altra traccia – involontaria – rimane sul foglio di carta vetrata: è un miscuglio di bianco e di colore, che casualmente si allunga, si allarga, si contrae, si dilata. Tutte le carte usate per abradere e il risultato che rimane dopo l’azione sono esposte insieme, può sembrare di avere davanti le fasi di un esperimento, di un lavoro, in
Nell’opera concepita come una sorta di trittico (Emersione (filiazione)) i rettangoli tutti uguali di carta vetrata (con le loro tracce, tutte – ovviamente – diverse) non aderiscono al muro, rimangono scostati grazie a dei perni metallici, sembrano formare due ali scure che quasi premono lungo i lati del pannello bianco: strumenti dell’apparizione centrale, adesso sono componenti dell’installazione.
In mostra alla galleria Eventi anche un’altra piccola serie di opere, Via, un diario–itinerario raccolto lungo le strade romane dedicate ai grandi artisti contemporanei, ormai morti. Per costruire questa topografia della memoria, Matteo Montani ha prelevato una traccia, qualcosa che è restato dopo il passaggio della solita carta ruvida; a quel residuo è affiancata un’immagine, documentazione del posto stampata su carta vetrata: lo stesso supporto utilizzato per scalfire le superfici, così, più che una foto, anche quello scorcio urbano in grigio antracite sembra un’abrasione casuale.
Di Via Lucio Fontana restano tre linee nette della
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