Da qualche giorno passare accanto al Colosseo si colora di un’inquietudine ancora più dolce. Perché sappiamo che, dall’ambulacro, ci guarda la musa Polimnia. La possiamo immaginare, di notte, finalmente sola e come sempre pensosa. Ha il viso dolce ma fermo, i capelli ricci legati in una coda, la figura è intensa e raccolta. Esprime una femminilità velata che raramente si è posata con lo stesso entusiasmo tanto sul piede quanto sul profilo di una statua. Entusiasmo nel senso più antico di indìamento. Perché la statua inaugura una carrellata di divinità care a chi gioca con l’arte e i suoi misteri: le muse.
Cugine del sole e della luna, figlie della memoria e nipoti del tempo: rimasero a lungo creature misteriose. Nei nomi, nel numero e, soprattutto, nelle associazioni con le arti. Anche se l’identità vaga, l’indistinto corredo attribuito ora all’una ora all’altra, e la trasversalità dello sguardo, rimandano ad una sfera politeistica e ad una dimensione Una e indivisibile dell’Arte. Che affascina –tanto nell’idea quanto nella visita– proprio per questa spregiudicata elasticità di fondo, per questo non lasciarsi etichettare.
Il percorso –attraverso statue, vasi attici, rilievi, ritratti, sarcofagi e mosaici– disegna il profilo delle nove dee e analizza i cambiamenti del loro rapporto con l’intellettualità. A destra si trovano le statue raffiguranti le muse: Polimnia, Calliope, Euterpe, Erato, Tersicore, Melpomene, Talia, Clio e Urania. A sinistra, opere atte a suggerire l’ambito artistico e le figure intellettuali di spicco cui la musa di fronte è
Si evidenzia così come l’intellettuale, partendo da una dipendenza diretta dalla musa, preziosa interprete del verbo divino, si sia reso via via più autonomo. Conservando una traccia di quel rapporto che, destinato a modificarsi a fronte di discutibili emancipazioni -oggi l’intellettuale da chi dipende?-, ancora resta. Lo dimostra la posa di Polimnia che r-esiste, simile, nelle figure di molti pensatori. Testimoniando un’influenza diretta delle antiche divinità sulla sfera gestuale/immagoica dell’artista e un eccesso di malinconico sentire che difficilmente trova spazio nell’opera. Ma che rimane nello sguardo dell’artista, o nella mano sul volto: come Polimnia insegna.
D’altra parte la figura delle muse deve risultare indipendente dal momento e trascendere generi e mode: è proprio la memoria di cui sono figlie che permette al pensiero di estendersi lungo tutta la dialettica del tempo. Camminano allo stesso passo del divenire e cambiano: ora nove, ora cento. Il tempo, grazie alla memoria e a un certo revisionismo ambizioso, le ha spalmate su tutto ciò che sono state e su quello che diventeranno: come un filo sottile tra il mondo artistico di ieri e quello di oggi.
Si parla spesso di vuoto come esperienza essenziale per staccarsi da sé e accedere al totalmente altro, ecco: la figura delle muse ha come contenuto la memoria della totalità artistica universale e richiama a non identificarsi solo nella dimensione artistica personale.
manuela ardingo
mostra visitata il 28 febbraio 2006
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