Due artiste brasiliane espongono nei due livelli della galleria. Si tratta di due installazioni autonome che -a detta dei curatori, Raffaella Guidobono e Pericle Guaglianone– possono avere in comune soltanto “l’adattamento esistenziale all’Italia”. In effetti, la circostanza che le vede insieme non è tanto un’occasione per registrare lo status quo della giovane arte brasiliana, quanto il tentativo di offrire uno sguardo sulle condizioni lavorative nel Belpaese, registrato da due postazioni ben distinte.
Isabela Stampanoni è la protagonista di un viaggio ricognitivo, commissionatole da un’associazione culturale che nel 2002 l’ha inviata, con altre due brasiliane, in Europa. L’esito di questa peregrinazione, che non ha quasi nulla in comune con i gran tour del passato -non foss’altro per le condizioni economiche della protagonista- è osservabile nella serie di ventotto tavolette dipinte ad acrilico. I quadri narrano, schematizzandoli, gli eventi che si sono succeduti a partire dal suo arrivo in Italia, secondo una logica molto prossima a quella degli ex voto.
L’artista si ritrae con il busto assimilato a una capsula (Capsula del Submarino è il nome della missione) e, nel segnare cronologicamente gli accadimenti principali dei suoi primi mesi in terra straniera –costellati di mansioni e lavoretti che è costretta a svolgere- non manca di annotare, anche attraverso la pratica del collage, aspetti molto personali, tra cui una presunta gravidanza.
Le modalità scelte per raccontarsi, che trattengono memorie e giochi infantili, accentuano la componente partecipativa, e accompagnano lo spettatore in un percorso articolato, che comprende anche un video, dove si possono decodificare segni e simboli di più recenti esperienze affettive e relazionali.
Patricia Carmo Baltazar Correa ha affidato una serie di grembiuli bianchi a un gruppo di artigiani, rappresentanti di diverse attività manuali: dal fabbro al gelataio, dal restauratore al parrucchiere, ma anche il fioraio, il macellaio, il medico e il barista. Ciascuno ne ha indossato uno durante lo svolgimento della propria attività, per tutta una settimana, restituendolo poi all’artista marchiato delle sostanze caratteristici del proprio lavoro. La successione ribaltata di questi zìnali, imbrattati di un vissuto che si può solo intuire, è andata a costituire il paesaggio pigmentato dell’installazione Corpus, che la scelta curatoriale ha voluto come lembi penzolanti testa all’ingiù addossati alle arcate e alle pareti del piano inferiore della galleria (un’ex macelleria), di suggestiva memoria kieferiana.
rossella caruso
mostra visitata il 15 novembre 2005
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