Più che ritratti veri e propri –il sottotitolo, per ognuno di essi, è Portrait–, i recentissimi lavori di Serse (al secolo Serse Roma; San Polo del Piave, 1952) in mostra a Roma, in grafite su carta su lastre di alluminio, sono icone di icone. Una manciata di esseri umani (più o meno) eccellenti, rinvenuti sulla stessa frequenza e chiamati in causa, uno alla volta, per quello che significano. Il riferimento dichiarato, sulla scorta di Max Ernst e Louis Aragon, è alla trouvaille programmaticamente eteroclita dei surrealisti. Il risultato è un assemblage di fossili di (s)oggetti, agili come ideogrammi ma stentorei come totem. Un “disponi icone per nome (e cognome)” decolorato, franco e accigliato (e bislacco, ci mancherebbe), che regala al visitatore sorprese e sottigliezze.
Nell’era del ready-made il genere “ritratto” ha perso la faccia? Nessun problema. Ecco che Hemingway diventa quelcappello bianco (il leggendario Panama), René Daumal un grosso bicchiere taciturno, Galileo soltanto una luna piena (e così via, passando per un Karol Woityla che, colto di spalle, sembra egli stesso una cupola; per un Ilya Prigogine in veste di fungo atomico; per un Pablo Picasso in versione equina, colto a tu per tu con un Maurizio Cattelan scheletro di gatto mannaro), in un gioco combinatorio sbrigliato e potenzialmente in progress. A far da contrappunto, onde inventariare cotanto bailamme con la necessaria lente d’ingrandimento, il rigore di una prassi esecutiva in cui paiono condensarsi perfettamente le virtù del disegno, della fotografia e finanche della scultura.
Discorso a parte va fatto per il lavoro che dà il titolo alla mostra, il più grande, con la falce e martello che si erge, altissima e qui ravvicinata, contro il cielo di Mosca. Unico emblema a comparire per se stesso –l’unico colto de visu e, dunque, paradossalmente, il solo personaggio davvero presente–, il simbolo storico del comunismo si rivela, concettualmente e formalmente, il rovescio dell’intera operazione. Ovvero, il perfezionamento di un’indagine asimmetrica (si noti il rapporto tonale figura-sfondo, invertito rispetto agli altri lavori) condotta con egual scrupolo, da fisiognomista postmoderno, e sugli uomini-simbolo e sui simboli degli uomini.
Una mostra isolata? O il primo atto di un più vasto progetto tassonomico, sulla carta sterminato ma a questo punto, forse, dovuto?
pericle guaglianone
mostra visitata il 14 settembre 2006
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