È rivelatrice, la scrittura, per chi sa interpretarne la vita parallela, sommessa, che s’insinua tra le parole, che ne condiziona non solo la combinazione in frasi, ma anche la forma esterna, quasi si trattasse di un disegno a dispetto del significato. I fogli d’artista – al di là della curiosità per il testo, soprattutto se di natura personale, come possono essere lettere o appunti – sull’artista la dicono lunga. E riescono ad affascinare, come un’apertura fugace, non mediata.
Così una mostra come questa dedicata a Michelangelo Buonarroti (allestita nelle sale di Palazzo Venezia curata dall’Ente Casa Buonarroti e dalla Soprintendenza di Roma) che a prima vista pare destinata ad un pubblico ristretto di studiosi, di conoscitori, perde poco a poco i contorni elitari, ma mantiene intatta la saldezza scientifica. Quel che viene galla è un percorso in penombra, intimo e paradossalmente evidente: una storia umana disseminata tra corrispondenza, poesie, note di spese e di amministrazione, schizzi, disegni, sospesa tra un tratto sicuro e un’indecisione, tra la calligrafia elegante dei sonetti e il fervore del segno che marca un abbozzo di bastione o di modanatura.
Leggiete il cuore e non la lectera scriveva Michelangelo a Tommaso de’ Cavalieri: dalle carte filtra una materia sensibile, o meglio sembra filtrarne il diagramma, puntuale come fosse il tracciato di un sismografo.
Dalla lettera scritta al padre in occasione del primo soggiorno romano, al celeberrimo Autoritratto nell’atto di dipingere la Volta Sistina, con sonetto autografo,( in cui la posizione scomoda cui lo costringeva la pittura diventa un componimento e uno schizzo efficacissimo…), dagli studi per la facciata di san Lorenzo – che poi sarà solo un modello ligneo – ad un avviso perentorio al maestro Andrea Ferrucci da Fiesole, scorcio immediato di come andavano le cose in un cantiere del Cinquecento. Poi verranno la Riforma Luterana, la guerra, il sacco di Roma: in uno dei fogli, la pianta per la cinta muraria diventa un’arma puntata, piuttosto che una struttura difensiva; c’è l’amicizia con Vittoria Colonna e con il già citato Tommaso, la poesia, i present drawings: disegni come doni preziosi (in mostra Cleopatra, di cui è visibile sul verso una prima versione più spigolosa). Fanno parte del percorso, una serie di incisioni (segnaliamo
In una sala – che potrebbe essere nucleo per una piccola esposizione autonoma e contemporaneamente riesce ad instaurare un dialogo serrato con il resto dell’allestimento – è collocata la Croce di Vallecupola: Paola Berardi, giovane storica dell’arte l’ha attribuita a Jacopo del Duca, seguace di Michelangelo. E’ modellata in argento con forme che hanno trasformato la lezione del maestro in ossessione, possiamo confrontarla con l’altra opera esposta la Pietà Dusmet, bassorilievo in terracotta ascritto allo stesso autore.
Era ancora vivo, Michelangelo quando il suo linguaggio personale e tormentato diventava maniera. Lui solo e scampato a troppi eventi, conclude l’ultima lettera al nipote dicendo: altro non m’achade
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maria cristina bastante
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