Una sala conferenze gremita all’inverosimile di persone desiderose di vedere dei progetti di architettura è un piccolo evento per Cagliari. Zaha Hadid non è solo l’autrice del futuro museo Betile, è l’archistar alla quale tutti vogliono chiedere un autografo. Ha creato per Cagliari una vera opera d’arte, paragonata da alcuni ad una concrezione corallina e da altri ad un gelato che si scioglie: in verità è il risultato di metodo e mestiere che fanno avvicinare oggetto architettonico e paesaggio. Acqua e terra. Con in più quel tocco di immaginazione e sogno che sono il lenimento alla fatica del progettare.
È innegabile che il lavoro della Hadid abbia vinto perché capace di far immaginare quella struttura-volano desiderata dal bando, facendo dimenticare (mascherando?) gli anni di degrado architettonico alle sue spalle. Sullo stesso filone di ricerca si è mosso anche Massimiliano Fuksas e non si può non notare la somiglianza del rendering (colori, atmosfera) fra il suo progetto e quello della Hadid. Nel suo c’è probabilmente un maggior legame col paesaggio sardo, con le pietre scolpite dal vento che si possono vedere in Gallura.
Herzog & De Meuron si sono forse accontentati di un esercizio di stile (il loro progetto ricalca alcune idee già affiorate per il recente ampliamento della Tate Modern a Londra). Bella la proposta dei fiorentini Archea, probabilmente non conforme all’idea di architettura “mediatica” ma pulito, elegante e di grande fascino.
Una nota va anche all’idea dello studio Mutti: il non voler pensare tanto al museo in sé quanto ad un potenziale hub che possa aprire il varco spazio-temporale verso gli altri siti archeologici dell’isola (con una presentazione fumettistica vicina ad Archigram). Dispiace per i bravi OBR, assieme ai quali troviamo Kengo Kuma e Noorda Design: la rilettura del tipico nuraghe banalizza un po’ il rapporto tra passato e futuro della Sardegna. Gli altri finalisti sono Giampiero Lagnese con una proposta metafisica, Gonçalo Byrne che punta sulla carica della metafora e Garofalo Miura Architetti, che hanno sviluppato in maniera accattivante lo studio degli spazi esterni.
Il museo Betile non sarà però l’unico ad incidere su uno spazio urbano peculiare come il quartiere di Sant’Elia: il rinomato studio olandese OMA è infatti già al lavoro per occuparsi della riqualificazione dell’attuale zona popolare. Malignamente verrebbe da pensare che questa riqualificazione potrà risolversi in un pericoloso cambio di target sociale, creando un nuovo ghetto altrove e vendendo a caro prezzo gli appartamenti “firmati” da Rem Koolhaas. Questa è una delle questioni che andranno affrontate seriamente nel prossimo futuro, al fine di creare un grande esempio di progettazione urbana sostenibile, ciò di cui ha davvero bisogno il quartiere e la città.
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matteo muggianu
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bell'articolo, bravo.