Ermenegildo Atzori presenta la sua prima personale in un momento delicato della sua ricerca espressiva. Ha esordito con la rappresentazione figurativa di tavole da fumetto, come allievo di Bepi Vigna; ha sperimentato l’informale puro con le plastiche incendiate monocromatiche. Oggi le opere esposte esprimono la tensione all’integrazione del figurato con l’astratto puro. La poetica dell’artista risiede nel processo. Non a caso il titolo della mostra è esplicitamente un tributo all’opera Shimmering substance (1946) di Jackson Pollock e il linguaggio espressivo è quello dell’Action Painting. Le opere esposte -di medio e grande formato- rappresentano un magma, a volte opaco, altre volte brillante, di materia e colori. Solo in alcune è esplicita la figura di un volto, che emerge o si dissolve nel caos primigenio degli sfondi.
Dietro le quinte si intravede l’essere umano: l’artista, il visitatore, l’abitante del villaggio globale con tutte le contraddizioni che vive, tra natura e industria, razionalità e irrazionalità, realtà e immaginazione. Il fare artistico per Atzori è evocazione, trasformazione e interazione. L’effetto evocativo lo notiamo subito dall’assenza dei titoli alle opere. Il titolo distrae, dice l’autore. Egli volutamente non descrive, tanto meno spiega, non offre un pensiero preconfezionato. E’ un invito ad abbandonare la certezza della ragione, per immergersi nei labirinti polimaterici delle immagini. Ma l’opera artistica per Atzori è soprattutto il luogo alchemico di trasformazione, nel quale si realizzano l’incontro, lo scontro e la reintegrazione degli elementi naturali o prodotti dalle mani dell’uomo: la limatura di ferro, la sabbia, le conchiglie tritate, la cenere, il vetro di riciclo frantumato, il poliuretano espanso. L’artista sardo si ispira ad Alberto Burri, rielaborando un personale pensiero artistico.
A questo punto Atzori dipinge sostituendo la fiamma al pennello. In questo modo carbonizza alcune zone dell’opera. Il fuoco fonde, purifica e alleggerisce le tinte. Il risultato è la creazione di paesaggi cromatici frastagliati, intercorsi da scogli bruciati (la combustione del poliuretano espanso), che contrastano con altre zone luccicanti madreperlacee, esito della fusione delle vernici altamente infiammabili. Natura e spirito manifestano simbolicamente la loro presenza affermando la necessaria, ma dolorosa convivenza.
La creazione delle immagini dell’artista è paragonabile all’esperienza del geologo, che costruisce le mappe, osservando dall’alto i luoghi. Atzori attraversa i luoghi retrostanti la razionalità, i luoghi aspri delle emozioni, dei sentimenti e degli istinti nella sua arte. Perché, come afferma: Ciò che rimane è ciò che è stato vissuto.
francesca bianchi
mostra visitata il 31 gennaio 2006
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