L’estetica fotografica di Antonio Loi richiede un’attenta riflessione. Le venti fotografie in bianco e nero suggeriscono un motivo che arriva ad ossessionare per la ridondanza e l’essenzialità del contenuto. Residui di campagna accanto a modernissime superstrade, spiazzi di fango tra la località balneare e la strada a scorrimento veloce, tronchi d’albero spezzati, aiuole di terra e cemento, insensati cavalcavia pedonali che diventano simbolo dell’edilizia di periferia. L’autore però avverte: “Il mio desiderio è quello di rappresentare l’irriducibilità della condizione umana e l’inconcludenza dell’attività umana, ma non vuole essere un reportage fotogiornalistico sullo stato di abbandono delle periferie urbane”.
Il riferimento tecnico-artistico è quello della straight photography, corrente artistica che si oppose intorno alla metà del 1900 al pittorialismo, con l’intento di emancipare l’arte fotografica dalle altre arti visive, in modo particolare dalla pittura, assegnandole una propria autonomia.
Antonio Loi ricerca la bellezza fotografica attraverso la tecnica della presa diretta, realizzando -in analogico- immagini formalmente perfette già al momento dello scatto. Le stampe dei negativi riportano l’intero fotogramma, in modo che emerga ogni dettaglio della scena ripresa. Una volta che la luce ha impressionato i cristalli di sali d’argento non deve esserci, secondo la straight photography, ulteriore intervento della mano umana. Considerando le potenzialità degli strumenti digitali oggi disponibili, tale sforzo può apparire come un esercizio di stile e l’artista non manca di mostrare il suo egli dominio su tale tecnica in ogni suo dettaglio.
Ma il valore dell’espressione artistica di Loi è da ricercare soprattutto nell’oggetto della sua ricerca: il dialogo versus l’incomunicabilità tra ambiente urbano e campagna, come rappresentazione dell’irriducibilità del reale nel suo faticoso cammino verso l’evoluzione, il cambiamento, la trasformazione. Il fotografo mette in evidenza quegli spazi spesso lontani dagli occhi dei cittadini, preda dello stress della vita quotidiana, e assegna loro dignità. Per non dimenticare gli strappi, le incongruenze, le ruvidezze, che il cambiamento sociale porta inevitabilmente con sé.
francesca bianchi
mostra visitata il 9 novembre 2005
Dalla prima tappa berlinese di The Clock di Christian Marclay alle installazioni immersive di Petrit Halilaj, passando per pittura contemporanea,…
Al MA*GA di Gallarate, fino al 12 aprile 2026, il racconto di come si irradia in Italia l’astratto a partire…
Dopo una lunga attesa, parte ufficialmente la direzione di Cristiana Perrella: oltre alla grande mostra UNAROMA, dedicata allo scambio intergenerazionale…
John Armleder gioca con l'eterna ambiguità tra opera e merce, per proporre una concezione allargata dell’arte. E la mostra al…
In un’epoca che sottrae presenza alle cose, il grande fotografo Martin Parr ha lasciato un’eredità che appartiene a tutti: la…
Fiere, aste, collezionisti, maxi aggiudicazioni. Un racconto per frame, per picchi, per schianti, più o meno approfonditi e intrecciati tra loro,…