A volere guardare più da vicino le tante controverse vicende che hanno segnato i momenti più salienti del dibattito artistico del secolo appena trascorso, gli anni a cavallo fra le due guerre risultano ancora oggi, forse, fra i più difficili da definire. Irreggimentati in sterili banalizzazioni da manuale o, peggio, nelle pregiudiziali ideologiche che ne hanno decretato a lungo la (s)fortuna critica – di quelle frange per lo meno impegnate a prediligere posizioni d’avanguardia come più immediata esigenza di rottura rispetto ad un presunto progresso delle arti- gli anni Venti, ed in buona parte anche i Trenta, sono stati da sempre assimilati al clima del Novecento, per quanto riguardava la situazione italiana, e ad una generica istanza di rappel à l’ordre per le altre coeve esperienze in Europa.
D’uno con la solenne vacuità che ha privato queste definizioni del loro primo significato, facendone sbrigative etichette passpartout, poteva capitare -ed è capitato- che differenze, pur evidenti, di orientamento artistico, oltre che politico e -perché no?- ideologico, venissero mortificate da radicali prese di posizione rispetto alle ingerenze istituzionali che si erano appropriate indebitamente di quelle ricerche. Strette entro le maglie di una non mai apertamente dichiarata -ma tacitamente intesa- impronta reazionaria, molte posizioni, anche di indubbio spessore, rimasero orfane, fino a non troppo tempo fa, di una doverosa messa a punto storiografica che ne restituisse la portata entro più opportuni margini di riferimento critico.
In questa prospettiva di rinnovata attenzione per quegli anni si colloca la mostra che Marsala dedica a Renato Paresce (1886-1937) e alla sua adesione al drappello degli Italiens de Paris (1928-1932), accanto a Campigli, Tozzi, Savinio, de Chirico, De Pisis e Severini.
Le trame di confronti e rimandi fra Paresce e questi pittori costituisce il nucleo più consistente dell’intera esposizione, che non manca però di leggere, come in filigrana, l’intera sua produzione (anche grafica), attraverso il costante riferimento ai compagni di strada che hanno condiviso, negli anni, linee di ricerca prossime alla sua sensibilità. Dagli esordi fauves che interpretano le variazioni cubiste di Picasso, Gris, Braque e Gleizes attraverso la sempre fondamentale lezione di Cézanne, alle più stringenti affinità con il primordio italiano di Carrà, Cagli, Pirandello e Martini -presente co
Forte di una pittura maturata sulle regole ferree della Section d’Or, l’artista scopre, nella maturità, la geometria immateriale e sognante di Cercle et Carré prima e di Abstraction-Création poi, fino alla frequentazione degli astrattisti de Il Milione. Dall’idea controversa di un primato latino e mediterraneo in senso lato, la sua pittura approda così alla disintegrazione dell’universo costruttivista da cui pure muoveva, e si affida da ultimo al lirismo di entità organiche sospese in uno spazio cosmico di conciliazione e insondabile mistero.
davide lacagnina
mostra visitata il 9 luglio
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