Hannu Palosuo (Helsinki, 1966) dipinge sedie. Oggetti talmente consueti da risultare inquietanti se visti sotto lo sguardo dell’artista, che arriva a personificarli. Palosuo ci aveva abituati al sapore surrealista di ambienti iperreali, sottolineato dal tocco straniante di ombre incongrue e dal design antiquato. Scelte certamente non causali, anzi talmente necessarie alla sua costellazione espressiva da apparire allegoriche.
Nelle precedenti mostre da Artecontemporanea , avevamo appreso -nella serie We leave behind , del 1999- che ogni modello di sedia rappresentava, per così dire, una persona che “aveva contato” nella vita dell’artista; oppure che -in Valse triste , del 2000- la disposizione di queste suppellettili evocava il ritmo di un racconto autobiografico.
Negli ultimi lavori, invece, registriamo una sottrazione espressiva, soluzioni meno enfatiche rendono più velato il senso. Ci si accorge subito che lo spazio, in cui sono collocate le presenze inanimate, non è più geometricamente leggibile, ha perso i
Ma a guardare bene, lo sfondo su cui si stagliano le sedie ci conduce lungo nuovi percorsi. Non si tratta di semplice colore, ma di una miscela di pigmenti e metalli (ottone e bronzo), ottenuta con l’ossidoriduzione. Come in Between the sky and the earth, del 2003, dove ruggine e verderame sono le tonalità dominanti o in Life in a paradise of lies (2000), realizzato facendo aderire alla tela fogli di rame.
L’artista metabolizza così nella dimensione estetica i prodotti di scarto della “de/composizione” della scultura bronzea: la forma si disfa lentamente, per lasciare il posto a fantasmi indistinti, i soli che possono abitare luoghi “non spaziali”.
francesca gallo
mostra visitata il 20 maggio 2003
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