La pagina del futurismo siciliano, felicemente rappresentata dai palermitani Vittorio Corona e Pippo Rizzo, si avvalse del contributo originale di un artista eccentrico, anomalo, irrequieto, eclettico. Giovanni Varvaro (Pa, 1888-1973), nonostante fosse di una decina d’anni più anziano dei due colleghi, fu l’ultimo ad aderire al movimento, nonché il primo ad allontanarsene.
Questa mostra riscopre e racconta in sessantuno opere l’iter creativo del maestro siciliano, suggerendo un’efficace sintesi della sua produzione artistica: dagli esordi fino al primo ventennio del secolo –periodo caratterizzato da opere di chiaro stile tardo ottocentesco (soprattutto ritratti, pregni di una intesa emotività, di cui è eccellente esempio il Ritratto del violinista Pasculli)-, procedendo attraverso il triennio delle sperimentazioni futuriste (1926-1928), per giungere alla rinnovata fase figurativa, di taglio fortemente realista, che va degli anni ‘30 fino ai ‘60.
L’originale temperamento di Varvaro era fonte di un eclettismo creativo infaticabile: appassionato di musica, teatro, danza e poesia, studioso di restauro e folclore, designer, attratto da spiritismo e misticismo. In lui convivevano, senza contraddirsi, due nature opposte: una attitudine passatista (l’amore per la tradizione culturale e le radici antropologiche, elementi difficilmente riconducibili alle teorie futuriste), ed una fascinazione per il moderno e la sperimentazione.
Se il futurismo siciliano, rispetto a quello continentale, presenta già delle caratteristiche distintive –identificabili con una quasi totale estraneità al mito della macchina e all’esaltazione enfatica del progresso– Varvaro contribuisce con una sua personale piega, un suo timbro originale, a questa stessa specificità insulare. Il decorativismo geometrico, la dinamicità e la vorticosità compositive, la scomposizione ritmica di piani cromatici e spaziali –cliché propri della scuola futurista– si combinano nella sua pittura con una indole visionaria, onirica, intessuta di riferimenti simbolici. Come in una sorta di spazio irreale – a metà tra la scenografia teatrale, la cartellonistica pubblicitaria,
Poi, dopo l’entusiasta adesione alla vivace ondata avanguardista, giunge la brusca virata verso una pacata retroguardia di forte respiro locale. Varvaro si accosta ad una pittura di genere, prediligendo soggetti legati alla tradizione locale: nature morte, ritratti, scene d’interni… Per rifugiarsi, nell’ultima fase, in una melanconica, solitaria contemplazione di paesaggi siciliani, avvolti da un lirismo sottile e da una patina di sereno incanto.
helga marsala
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