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Cartoline da New York/9. “Spring/Break Fair”, ovvero tappa in un progetto davvero indipendente. Con vista sulla big city

di - 6 Marzo 2017
All’Armory, che ha chiuso ieri, ci sono stati sicuramente degli stand belli e tra questi possiamo citare quello di Lia Rumma con, tra gli altri, Spalletti, Kentridge e un’inedita Vanessa Beecroft che torna alla pittura. Notevoli anche gli stand di Massimo e Francesca Minini, con Kapoor e Spalletti e poi quello di Continua, tutto dedicato a Carlos Garaicoa, e Kaufmann Repetto, Galleria d’Arte Maggiore fino alla “giovane” Monitor pronta a sbarcare con un proprio spazio a Lisbona, come annuncia Paola Capata.
Il pubblico è stato numeroso, gli affari non sono andati benissimo, nonostante oggi con Trump i ricchi americani si sentano più al sicuro di prima, ma forse la promessa di abbassare le tasse non basta a pacificare una nazione che sembra parecchio preoccupata del proprio Presidente e quindi del proprio futuro. Tutto come da copione, insomma. Con le fiere parallele che non decollano più di tanto, nonostante siano affollate anche loro – ma il pubblico sembra essersi diviso tra collezionisti e ricchi genericamente interessati all’arte, che vanno all’Armory, e meno ricchi, genericamente interessati all’arte, che vanno alle altre fiere per spendere di meno e portare a casa anche loro qualcosa.
Ma una novità c’è Spring/Break Fair. Fiera davvero indipendente, diversa, dove finalmente si respira un clima vivace e non asfittico, con più di 150 curatori che hanno effettivamente curato altrettanti stand, divertente a volte addirittura sorprendente.
Già la sede è notevole, tra il 22esimo e il 23esimo piano dell’ex sede di Conde Nast a Times Square, con tanti stand, quindi, che godono di una vista mozzafiato, che spesso viene inglobata nel progetto. La provenienza degli artisti (perché di questi si tratta e non di gallerie) è la più svariata, così come quella dei curatori che arrivano, a loro volta, sostenuti da centri no profit, associazioni indipendenti e musei intelligenti, come il New Museum. E c’è aria di sperimentazione, di ricerca, ma non tirata via in modo erroneamente giovanilistico, molto attenta invece. Pubblico giovane ma anche più maturo, che guarda le cose e non passa via velocemente tra una chiacchiera e un’altra.
Insomma, una bella sorpresa in una New York che per un istante sembra dimenticare il must del dio denaro.

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