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Cinque anni di Casa Turese. La galleria di Tommaso De Maria li ricorda con una collettiva

di - 3 Settembre 2018
Era l’11 maggio del 2013 quando Tommaso De Maria, giovane gallerista figlio d’arte, decise di inaugurare uno spazio espositivo nel cuore di Vitulano, a pochi chilometri da Benevento, presso la dimora ottocentesca di Palazzo Riola nel Casale Fuschi di Sopra, con la personale di Angelo Maisto dal titolo “Analogie”. Oggi con “The Walls of Standing Time”, a cura di Federica Maria Giallombardo, si celebra il primo lustro di attività di Casa Turese. Sette gli artisti esposti in questa collettiva e, tra quelli già rappresentati dalla galleria, come Michele Attianese, Maurizio Carriero, Annalisa Fulvi, Angelo Maisto e Carlo Alberto Rastelli, anche due new entries: Nicola Caredda ed Emanuele Giuffrida. Il tutto sempre nel segno di una certa coerenza di linguaggi, perlopiù pittorici, che caratterizzano la ricerca di De Maria, improntata in gran parte sulla nuova figurazione italiana. L’operazione è stata senz’altro impreziosita dall’attenzione che la giovane curatrice ha dedicato ai singoli artisti, come si nota dalla pubblicazione realizzata ad hoc per questa mostra.
Alla pittura di Attianese (Castellammare di Stabia, 1976), «realista ma non realistica», che catapulta lo spettatore dalla periferia alla centralità nella quale è rappresentata la solitudine dell’uomo/lavoratore contemporaneo nella quale si insidiano le geometrie, tipiche dell’autore, si contrappone il lavoro di Carriero (Caserta, 1980) improntato su vanità e perfezionamento, derivanti dalla pittura classica napoletana, «primo canone – estetico -percepito e modello con cui competere». Annalisa Fulvi (Milano, 1986), unica donna in mostra, porta la sua pittura definita crepuscolarismo urbano che nasce «dall’accostamento percettivo e visivo di immagini e di forme che l’ambiente in costante metamorfosi suggerisce». Angelo Maisto (Napoli, 1977) con i suoi Codex Maisti basati sul suo tipico fare tassonomico porta dei «diari della memoria» che creano un universo popolato da piante e curiosi esseri ispirati alla pittura fiamminga e ai bestiari medioevali. Rastelli (Parma, 1986), attua il suo disincanto dell’abbandono con scenari saturi in cui si stagliano solitari soggetti inanimati come navi e treni. Caredda (Cagliari, 1981) utilizza un (pop)surrealismo di matrice ironica con un utilizzo della luce che sembra illuminare al neon i contorni delle figure che popolano le scene. Anche nel lavoro di Giuffrida (Gela, 1982) è particolarmente significativo l’utilizzo delle luci che «configurano la morfologia dei non-luoghi» e, nella fattispecie, la struttura del tendone di un circo. (Vincenzo D’Argenio)

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