09 gennaio 2013

Dove si mischiano civilizzazione e barbarie. Ecco il programma della 13esima Biennale di Istanbul diretta da Fulya Erdemci

 

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Che la curatrice fosse Fulya Erdemci lo sapevamo da un pezzo ma ora arriva il tema, caldissimo, della 13esima biennale di Istanbul, che debutterà il prossimo 14 settembre nella città turca, e che titolerà “Mom, am I barbarian?”, -Mamma, io sono barbaro?- citazione dal libro del poeta turco Lale Müldür che porta lo stesso titolo. Un “forum” di discussione dove l’arte metterà in evidenza le nozioni di dominio pubblico, per mettere in discussione le forme contemporanee della democrazia, sfidare gli attuali modelli spazio-economici della politica, problematizzare il linguaggio e i concetti intorno alle parole “civiltà” e “barbarie” per ribaltare posizioni standardizzate e aprire il ruolo dell’arte contemporanea come un agente in grado di creare “azioni”.
A partire dalla critica al mondo della civiltà e della razionalità, che ha prodotto nei secoli una sequela di barbarie a favore di “lumi” che molto spesso sono scaduti nelle tenebre, la Biennale di Istanbul metterà nero su bianco anche la condizione attuale del voler “ricominciare da capo”. Un’esigenza attuale, dove sembra che la produzione, la connettività, il semplice e diretto di comunicare per scavalcare la complessità del mondo siano arrivati a un punto di non ritorno, che ha contribuito anche all’aumento di regimi e di comunità chiuse.
“Barbaro”, nella sua accezione di “straniero”, è il lemma privilegiato per indagare la condizione di esclusione: barbaro era infatti, per i greci, colui che non apparteneva alla polis, il non-cittadino. Ma cosa significa essere cittadini oggi, specialmente ad Istanbul? Conformarsi allo status quo o prendere parte alle azioni di disobbedienza civile?
Barbaro oggi fa rima con “fragilità”? O è vicino alla responsabilità di assumere nuove posizioni culturali, economiche e politiche? Gli artisti invitati saranno chiamati ad operare site specific su questi temi, per domandarsi ed esplorare, ancora una volta, le possibilità che l’arte possiede per favorire la costruzione di nuove soggettività e di ripensare la “dimensione pubblica”.
E sarà proprio il “Public Alchemy”, il programma pubblico, a portare alla luce del sole la produzione artistica e teorica della Biennale attraverso l’intervento di artisti, architetti, progettisti, teorici, attivisti, poeti e musicisti si riuniranno nei mesi precedenti all’opening, per esaminare i modi in cui lo spazio della città possa essere recuperato sia come strumento artistico sia nel quadro della caduta dell’imperialismo finanziario e nella frattura sociale che ormai coinvolge non solo la Turchia, ma tutta l’Europa.

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