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Happy Earth Days. Il Museo Madre di Napoli presenta #MadreTerra, con un occhio alle radici

di - 23 Aprile 2019
Nella complessa fenomenologia dell‘arte del nostro tempo, si ravvisa sempre più una componente esperienziale/relazionale che, molto spesso, riesce persino a prevaricare la natura oggettuale dell’opera. In questo contesto, l’associazione Artstudio’93 ha promosso e organizzato in maniera sinergica con il museo Madre di Napoli una mostra in occasione della Giornata Mondiale della Terra, che quest’anno ha visto diversi artisti impegnarsi sul tema delle “Climatiche sociali – Le radici del cambiamento”. Tale progetto espositivo è il risultato finale di una serie di workshop, che si sono svolti tra gennaio e aprile di quest’anno presso il museo, in cui gli stessi artisti hanno lavorato a stretto contatto con varie tipologie di pubblico, per un prolifico e intenso impegno di scambio socioculturale.
La pratiche laboratoriali, con tutte le varie operazioni che ne sono conseguite rientrano nell’ambito di un progetto ben più ampio, dal titolo Io sono felice!, curato dai servizi didattici del museo, che negli ultimi tempi hanno dato maggiore importanza ai progetti di inclusione sociale rivolti al territorio. Differenti artisti sono stati coinvolti per le attività dei singoli workshop ed è proprio partendo dall’esperienza dei laboratori che sono stare realizzate le opere in esposizione fino al 6 maggio 2019, tra i cortili e le sale del piano ammezzato del museo.
Si tratta nello specifico del lavoro video prestami la tua voce, nato dal workshop di Marisa Albanese, in cui sono raccolte le testimonianze scritte da un gruppo di rifugiati sulle proprie esperienza di migrazione al fine di essere lette e ordinate in una sorta di racconto, tutto ciò permette al lettore di identificarsi rafforzando quel carattere d’integrazione al quale mira quest‘operazione. Completamente diverso il lavoro di Neal Peruffo e Massimo Scamarcio, che hanno lavorato invece sul tema dell’acqua, facendo attenzione al rapporto che lega i partecipanti a questo elemento, richiamando memorie e ricordi attraverso oggetti di uso quotidiano. Tali oggetti sono stati così riempiti di liquido, assemblati in una composizione che riprende la struttura geometrica delle molecole d’acqua, e vi sono stati applicati dei dispositivi in grado di trasmettere suoni. Intime camere ecoiche è il risultato finale, un’installazione visivo-sonora in cui il fruitore riesce poi a immedesimarsi rievocando i propri ricordi.
Nel lavoro di Silvia Capiluppi, invece, ogni partecipante ha portato delle lenzuola matrimoniali, sulle quali ognuno ha ricamato il proprio nome accanto a quelli degli altri, partecipando a una performance di tessitura collettiva. L’atto del ricamare è per l’artista una forma di meditazione, un invito alla presenza, all’ascolto, all’attenzione. Nell‘attività laboratoriale condotta da Eugenio Giliberti, i partecipanti, guidati dall’artista, hanno utilizzato strumenti attribuibili al lavoro della terra per creare Penelope, un’installazione ambientale strutturata come un rifugio, che assorbe idealmente i processi, i pensieri e le storie di tutti coloro che hanno contribuito alla sua creazione, conservandone l’eco per restituire l’esperienza ai fruitori. (Emanuele Castellano)
In home: Marisa Albanese, Prestami la tua voce, 2019
In alto: Eugenio Giliberti, Penelope, 2019

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