01 marzo 2012

Il Docva in gemellaggio con il museo del 900. Storia di un successo lungo 25 anni che da Milano guarda al futuro

 

di

Mona Hatoum - Drowning Sorrows (wine bottles III) - 2006 - vetro - h cm 15, diam. cm 200

É stato presentato stamattina dall’Assessore alla Cultura del Comune di Milano Stefano Boeri con Marina Pugliese, Patrizia Brusarosco, presidente di Viafarini, e Mario Gorni, fondatore di Careof nel 1987 con Zefferina Castoldi quando lo spazio era ancora a Cusano Milanino, il gemellaggio con la Sala Archivi del Museo del 900 di Milano. Un incontro che mira a lanciare anche la sezione dell’istituzione milanese, per ora ancora poco frequentata, come detto da Marina Pugliese, storica dell’arte e a capo del dipartimento di conservazione dell’arte del XX secolo del comune.
Un progetto che fa parte di MET Milano (Museo Esteso Territorio) e che mira anche a far convergere due istituzioni molto differenti tra loro soprattutto per la tipologia di pubblico frequentante.
Dalle prime mostre curate da Luciano Inga Pin, storico gallerista che negli anni settanta aveva portato la Body Art e l’arte performativa a Milano fino al trasferimento nel 1991 negli spazi di via Farini e, nel 2008, nella nuova sede alla Fabbrica del Vapore -dove nasce Docva- si è raccontata la funzione di un «hub permanente sia fisico che virtuale che spesso ha scelto la modalità del workshop per mettere in scena il contemporaneo attraverso la partecipazione di artisti internazionali -tra cui Mona Hatoum- e che ha ha fatto da trampolino di lancio per moltissimi italiani dalla carriera strepitosa, tra cui Cattelan e Roberto Cuoghi» ricorda la presidente Brusarosco.
Un’avventura iniziata proprio «perché si sentiva la necessità di far conoscere cosa accadeva nell’arte contemporanea attraverso i suoi diretti protagonisti» ha riferito Mario Gorni.
Un archivio che a oggi conta oltre 6mila audiovisivi e 25mila volumi nella biblioteca. Un’azione, l’unione del Docva con il museo del 900, che risolve in parte l’oneroso problema della conservazione che da sempre langue nel contemporaneo, anche a causa dei pochi mezzi disponibili.
Tra le anticipazioni svelate una mostra, a partire dal prossimo settembre, co-curata da Milovan Farronato, storico “curatore della mutua” -come lui stesso si è ironicamente definito- di viafarini che, con Roberto Cuoghi, allestirà proprio nelle teche della sezione archivi del museo del 900 una “collezione” di artisti italiani presentati attraverso documenti, opere e, più in generale “roba” che identifichi un percorso dello smisurato volume di arte che negli ultimi 25 anni è passata dagli archivi e dagli spazi di Viafarini e Careof.

1 commento

  1. Vorrei sapere per quale ragione un’istituzione pubblica finanziata dai soldi di tutti i cittadini promuove di fatto una rete privata quale DOCVA – Via Farini – Careof.
    Dico “rete” e non “archivio”, poiché Via Farini – Careof rappresentano un circuito di interessi particolaristici ben preciso nel panorama delle istituzioni d’arte indipendenti.
    Un museo pubblico d’arte dovrebbe porsi in posizione equidistante da tutte le realtà artistiche indipendenti. La motivazione presente nel loro sito di “garantire l’accesso semplice e gratuito a una raccolta di documenti unici” rappresenta una vera presa un giro per chi sa cosa siano i valori del pluralismo della cultura (senza tener conto gli interessi economici che l’arte contemporanea muove).

    Ennesimo esempio del degrado (truccato da innovazione) a cui è giunto il sistema dell’arte italiano.
    Tecniche di chi specula sulla totale assenza di diritti di una fascia di lavoratori debole quali sono gli artisti.

    Il circuito milanese Via Farini non è nuovo ad operazioni sfacciate di lobbismo di questo genere. Vorrei ricordare la vicenda Italian Area – Museo Senza Centro da me denunciata e la “collaborazione” Museo MAXXI-DOCVA (che tuttavia, più correttamente, è stata presentata come evento limitato nel tempo e “primo appuntamento di una serie dedicata ai più importanti archivi di arte contemporanea nazionali ed internazionali”).
    Rimane certo un dato. In questi tentativi di porre un cappello di controllo alle istituzioni d’arte contemporanea con furberie, scorciatoie e trucchi vediamo ricomparire sempre gli stessi nomi: Milovan Farronato, la Chiara Bertola del comitato di critici di Italian Area (nei video visibili da subito a Milano citati da Gorni), la Brusarosco.

    In pratica una manciata di nomi ha un accesso privilegiato e condiziona, indirizza il gusto (e quindi le scelte) delle maggiori gallerie d’arte contemporanea italiane. Per contro, le stesse istituzioni trasferiscono il peso e l’autorevolezza del proprio ruolo su una organizzazione privata che rappresenta al massimo il gusto e l’idea di arte di chi le dirige.
    Particolarmente inquietante, poi, che il protagonista dell’iniziativa sia il Museo Del Novecento: per primo dovrebbe tener viva la memoria sui mostri che si nascondono dietro le falsificazioni dell’arte di stato.

    Davvero al museo milanese non sanno che genere di conflitto di interessi hanno inaugurato azzerando ogni passaggio di consenso democratico all’arte? Mi rifiuto di crederlo. Il dibattito critico? Le diverse metodologie e approcci di underground, fondazioni, gallerie, archivi? Il giudizio del pubblico e del mercato? Annullati. Per il Museo del 900 l’arte è un dogma di stato che con l’alibi di voler archiviare l’oggi ed il presente, incorona una casta privilegiata di curatori, impone al pubblico una “installazione permanente” e con essa il modello fortemente centralista, verticistico del dispositivo-archivio come metodo unico per restituire la realtà creativa in atto.

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