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La Biennale “privata” di Carolyn Christov Bakargiev si vede dalle opere, come giustamente deve essere. Ma chi spicca, nella folla turca? Senz’altro, in questo primo giorno, l’installazione di Meriç Algün Ringborg, all’hotel Adhan: l’artista dedica alla memoria di Galata come “giardino” dove crescevano innumerevoli piante di fico, oggi sostituite da bazaar, bar e alberghi, una struggente installazione (foto sopra). Bella prova anche per Walid Raad (foto in home page), così come per la giovane italiana Elena Mazzi, alla Scuola Superiore Italiana con un suo video dedicato ai Mastri Vetrai di Murano, dove è fortissima l’attenzione al particolare del lavoro artigiano.
Mischia invece la geografia delle chiese esplose d’Anatolia, il finale di Blow Up di Antonioni, l’architettura del Guggenheim di New York associata a immagini di montagne la video installazione della giovane tedesca Kristina Buch: una sorta di mash-up come lo è il dialogo tra l’artista Irena Haiduk e la sua interlocutrice, una scienziata. Qui la trappola sarebbe stata facile: trascendere nella politica. E invece sia che si tocchi l’argomento arte, o speranza, o attesa, si resta in una dimensione di ricerca, dell’intelletto.
Ottima prova anche al Museo dell’Innocenza di Ohran Pamuk per Arshile Gorky, mentre emblematico per la sua durata, e dunque per la complessità di una visione “globale” di questa 14esima edizione della Biennale sul Bosforo, è il video di Cheng Ran: nove ore di girato tra il Tibet cinese e l’Olanda, per ripercorrere la storia di tre persone scomparse in maniera non sempre scorrevole, ma attraverso bellissime immagini. Aggiornamenti in corso.