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La collezione del “Novecento a Napoli” si arricchisce con l’ “Ipotesi Spaziale” di Antonio Borrelli. Un omaggio e un nuovo tassello critico nell’esposizione “in progress” del museo

di - 24 Aprile 2014
Il museo “Novecento a Napoli (1910-1980): per un museo in progress”, inaugurato nel 2010, ha sempre seguito una impostazione teorica e storica ben definita. Negli spazi del Carcere Alto di Castel Sant’Elmo, sono esposte opere che, attraversando tutta la produzione artistica del Secolo breve, dal primo Futurismo alla Transavanguardia, fanno emergere, come punto di vista privilegiato, il magmatico ambiente napoletano. Obiettivo di questa strategia è fornire uno spaccato delle sperimentazioni sviluppate sul territorio fino agli anni ‘80, esplicitando, nello stesso tempo, anche tutti gli influssi esterni, arrivati all’ombra del Vesuvio.
Allora, in questo ambiente percettivamente composito ma concettualmente definito, tra installazioni, sculture e tele, l’acquisizione di una nuova opera rappresenta un momento critico. Soprattutto se si tratta di una scultura complessa come Ipotesi Spaziale, generosamente donata dall’artista Antonio Borrelli, napoletano classe 1928, scomparso pochi mesi fa.
«A Napoli, gli artisti hanno sempre parlato un linguaggio internazionale e compito di chi vuole promuovere la cultura è raccontare questa storia» ha dichiarato Angela Tecce, direttore del complesso di Castel Sant’Elmo, intervenuta, alla conferenza di presentazione dell’opera, con Maria Antonietta Picone, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università Federico II, Monia Aliberti, assessore alla Comunicazione e Promozione della città, e Diana Pezza Borrelli, moglie del maestro. L’ipotesi di fondo, ormai ben collaudata in questi primi quattro anni di attività, tra incontri a tema e il concorso per giovani artisti “Un’opera per il Castello”, è quella di un museo in evoluzione e aperto agli scambi. Un polo non solo espositivo ma anche propositivo.
«Quest’opera del 1964 è un punto di svolta, nel percorso artistico di Borrelli», ha continuato Picone, che ha delineato la figura dell’artista napoletano. «Le sue sculture non sono facilmente inquadrabili», come se la sua ricerca fosse pervasa da anime distinte ma complementari. Da un lato, lo studio dell’armonia, partendo dalle lezioni delle misure classiche; dall’altro, l’assemblaggio di materiali di risulta, come traccia del mondo contemporaneo. Nelle sue opere, allora, oltre la superficie della sapienza tecnica, si animano l’eleganza della tradizione e lo spirito convulso del XX Secolo. Ipotesi spaziale è un manifesto di questa poetica. Le giunture a nudo sono come particolari pittorici, che formano una scansione ritmica sulla materia viva, nei modi dell’Informale. L’accostamento di pezzi diversi, con la composizione di cavità e angoli, rimanda alla ricerca sulla scansione dei piani tipica del Cubismo. Ai modi tradizionali di fare scultura, alle vie opposte “del porre e del levare”, Borrelli «ha aggiunto la maniera del giustapporre».
«Non si sottraeva mai alla curiosità, alla realtà, al quotidiano – ha concluso Pezza Borrelli – la sua arte nasceva dalla vita». (Mario Francesco Simeone)

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