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Musei e social network, per l’Italia sempre la stessa cartolina: alti ingressi ai cancelli ma profili quasi inesistenti in rete, a parte qualche rara eccezione

di - 18 Settembre 2014
Un anno fa la sua Presidente, Giovanna Melandri, aveva dichiarato: «La MAXXI Community comprende facebook, twitter, youtube, google+, instagram, flickr, linkedin e artbabble. Siamo davvero felici della conferma del primo posto nella classifica di Museum Analytics. Attraverso i social network il MAXXI coinvolge e dialoga con una “community” vasta ed eterogenea, come è nella mission di un grande museo pubblico aperto a ogni forma di linguaggio della contemporaneità. Continueremo questo lavoro ancora con più entusiasmo ed energia». L’argomento è dei più gettonati: musei e social network.
Ecco, a un anno di distanza la situazione non è cambiata, ovvero il MAXXI è ancora, in Italia, il primo museo più social (nel 2012 vinse anche il Premio ICOM come museo che utilizzava nel miglior modo questi dispositivi di comunicazione) mentre la stragrande maggioranza dei colleghi tricolore pecca di “assenze” dai network più popolari.
Lo rimarca Repubblica, con l’intervento di Paolo Cavallotti, social media manager del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano: «Sottovalutando l’importanza dei social si perde un canale privilegiato che consente di entrare a far parte della quotidianità delle persone, sempre più spesso alla ricerca di suggerimenti su come investire il loro tempo. Per non parlare poi della possibilità di svecchiare il pubblico museale».
Già, perché come nella pratica dell’autorappresentazione di sé stessi (selfie), anche per i musei non contano più solo i biglietti staccati, ma anche i “cuorini” di instagram, i cinguettii condivisi di twitter e i like di facebook. «Molti musei si sono appoggiati ad agenzie esterne che, pur essendo all’avanguardia dal punto di vista social, spesso non hanno competenze nello specifico del campo museale. Questo quando a occuparsi della parte social della struttura non è qualche impiegato riciclato social media manager senza averne le competenze», spiega Cavallotti al quotidiano.
I colleghi esteri? Facciamo senza ricordarlo, perché i nomi sono oggi più che mai universali anche per la loro presenza nelle pagine degli “amici” di noi tutti: Louvre, Metropolitan, British Museum, MoMa, Saatchi Gallery ma anche MoCA e LACMA, che battono migliaia e migliaia di condivisioni quotidiane.
Dall’Italia, inoltre, sul social forse più trendy e raffinato che è Instagram mancano anche Pompei, i Musei Vaticani e gli Uffizi. Forse una problematica anche legata alla lingua della comunicazione, secondo quanto riporta Prisca Cupellini, digital communication manager del MAXXI di Roma: «La lingua dei profili social del museo influisce molto sul numero degli utenti. Non a caso i primi classificati del sito Museum Analytics sono profili in lingua inglese, la lingua internazionale della comunicazione». Forse prima di imparare l’uso dei social dovremmo essere più vicini all’anglofonia? A giudicare dalla “tradizione” di successo degli Stati Uniti in questo campo probabilmente si.

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