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Note di un direttore/4. Palermo traccia un nuovo sentiero nel Giardino di Manifesta

di - 17 Giugno 2018
Palermo, sabato, 16 giugno ’18
Che il perno di tutto sia Martin Kippenberger che, con il suo MOMAS-Museum of Modern Art Syros, cercava di decostruire il concetto di museo e la fruizione dell’arte, creando un ambiente “scivoloso” per pratica e pubblico? La risposta è alla Fondazione Sant’Elia, in una piccola mostra. Collaterale a Manifesta, of course.
Che sia invece a Ballarò, alla Chiesa dell’Origlione, dove Simon Starling mette in scena il viaggio di Michelangelo Merisi per ripensare a una Decollazione di San Giovanni Battista che si infila nel vano di un Ape Car, dove vengono raccolti tutti i materiali che compongono la celeberrima opera, una cui copia si trova a Palazzo Abatellis, qui a Palermo, mentre l’originale è custodito a La Valletta? O forse è Lara Favaretto, anch’essa vincitrice del Bando 2017 di Italian Council che, a Palazzo Branciforte, ex Monte dei Pegni palermitano, con Museo Madre di Napoli e Fondazione Sandretto, raccoglie le testimonianze di chi restituisce reperti archeologici trafugati a Pompei con tanto di lettere di scuse e di preghiere di essere sollevati dalla malasorte avvenuta per il danno causato? O forse sta nelle parole di Leoluca Orlando che a gran voce ha affermato, in occasione della cerimonia di apertura di Manifesta 12, a piazza Magione, che a Palermo non ci sono migranti ma solo cittadini che vivono qui temporaneamente o meno? O forse è la folla che si è radunata intorno alla processione di Marinella Senatore? O, ancora, Evgeny Antufiev, che si mescola al paesaggio del Museo Archeologico Salinas con le sue sculture in legno e le sue creazioni in ceramica e terracotta, veri e propri memento mori che raccontano di ibridi, lacrime e figure fuori dal tempo, quasi a ricordarci che l’arte è sì una condizione primaria ma che non esula l’uomo dalla sua finitudine, rispetto alla collezione di reperti che, in questi luoghi, sembrano diventare eterni.
Ma poi c’è il brunch nella meravigliosa Casa Spazio, dove Palermo sembra un atelier in cui anche il contemporaneo si può realizzare senza problemi; e poi c’è la storia di Berlinde De Bruyckere a Santa Venera, chiesetta chiusa da oltre sessant’anni e ristrutturata da Fondazione Terzo Pilastro lo scorso anno, con mistico giardino annesso, e sulla cui funzione futura ancora non c’è luce chiara. Ma c’è anche Palazzo Ajutamicristo, le nature-architetture di Michele Guido a Palazzo Oneto di Sperlinga, e qui e là ci sono i Pupi, c’è la storia e c’è una Manifesta che forse mai come quest’anno – e lo ripete ancora Orlando – è connotata nella sua storia, grazie al contesto. «Palermo sembra prendere il sopravvento rispetto agli artisti»: forse questo Orlando non avrebbe dovuto dirlo o smorzare un po’…ma that’s it.
Lo abbiamo ripetuto spesso in questi giorni ma pare anche appurato che, stavolta, una Manifesta così si è potuta fare proprio perché siamo qui. E l’after party sul mare ne è la conferma. Le sollecitazioni sono state infinite, le finestre aperte dozzine, gli incontri centinaia. Una manifest-azione che, se partita sotto una stella disordinata – come Palermo, del resto – ha già forse tracciato un piccolo sentiero nel giardino. (MB)
Fine. Per ora.

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