Ci hanno capito ben poco al Central Businnes District di Sydney, almeno stando ai fatti, di arte pubblica. Presentato un progetto che dovrebbe “agghindare”, è proprio il caso di dirlo, George Street, si è levato un fiume di polemiche che, non a torto, hanno messo l’accento su una delle questioni fondamentali della pratica dell’arte pubblica. A che serve? In questo caso solamente a funzionare come i ninnoli delle nonne sulle credenze: a niente, se non a raccogliere intemperie e indifferenza.
Ma qual è stata la spina nel fianco che ha fatto scattare tutta la vicenda? La silhouette di acciaio Cloud Arch, progettato dall’artista giapponese Junya Ishigami, una lega curva che i più incattiviti hanno definito come il profilo del sindaco della città australiana Clover Moore, e che non sarà un oggettino, anzi. Nel caso il progetto passi, Cloud Arch sarà alta 50 metri: «Le opere selezionate dal nostro comitato di valutazione di esperti contribuiranno a rafforzare la reputazione di Sydney come capitale della cultura e della creatività. Non ho alcun dubbio che diventeranno punti di riferimento iconici della nostra città, oggi e per le generazioni future», è stato il messaggio del sindaco. I progetti sono stati scelti tra circa 700 application provenienti da 25 Paesi.
Il progetto di riqualificazione, che dovrebbe essere pronto nel 2017, e che costerà qualcosa come 9 milioni di dollari, è stato anche “recensito” dal The Sydney Daily Telegraph con un sondaggio dei lettori: due terzi considerano il tutto un grande sperpero di denaro pubblico.
Gli altri artisti? Ci sono l’egiziano Hany Armanious, con una scultura a forma di barattolo di latte alta 14 metri e Tracey Emin. Quel che succederà non si sa, ma se i fondi sono stati stanziati ci sarà poco da lamentarsi: per un’altra volta la scultura pubblica sarà solamente un inciampo nello sguardo quotidiano, un rumore di fondo a dir poco noioso