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“Save Art” arriva a Milano. Per salvare l’Arte e la sua conoscenza come valore civico: tre domande a Claudio Strinati

di - 10 Aprile 2012
Alla Posteria di Milano, domani, dalle 15.30, Claudio Strinati, Gloria Fossi e Giovanni Ragionieri si interrogano e lanciano un monito a supporto della storia dell’arte come modalità di formazione civile e morale della società. È “Save Art. Conoscere l’Arte per difenderla meglio”, una tavola rotonda dove i tre esperti condurranno il pubblico spiegando i rapporti che si creano tra l’arte e il suo territorio di origine, come sia possibile rendere la storia dell’arte e il suo insegnamento nella scuola uno strumento di civiltà, per partecipare alla costruzione di una nuova generazione di cittadini consapevoli. A partire dalle questioni inerenti al rapporto tra pubblico e musei, dalla fruizione del pubblico ai grandi eventi collettivi alle modalità dell’insegnamento dell’arte e al suo, minimo, spazio nella scuola italiana, i professori Strinati, Fossi e Ragionieri, metteranno in luce le difficoltà e le possibili soluzioni per rendere la didattica dell’arte una materia formativa a tutti i livelli. Abbiamo rivolto a Claudio Strinati, Dirigente Generale dell’area storica dell’arte presso il Ministero per i Beni e le Attività culturali alcune domande sulle questini che verranno sollevate all’appuntamento milanese con “Save Art”.
Quali sono le strategie (se vi sono) per avvicinare pubblico all’arte e produrre una cultura attiva dell’arte?
«Per avvicinare il pubblico all’arte e produrre una cultura attiva dell’arte c’è una sola strategia: parlarne e scriverne. Soltanto da pochi anni giornali, web, televisione e qualsivoglia mezzo di comunicazione hanno “scoperto” il mondo artistico, passato e presente, come mondo passibile di generare notizia, dibattito e interesse pubblico. Sembra impossibile e inconcepibile ma è la pura verità. Del resto la riprova di questo fatto è nel mondo della scuola. Alla storia dell’arte, considerata da tutti come materia importante, è stato riservato uno spazio minimo. Perché? Perché non è mai stata elaborata una risposta valida e concreta all’asfissiante retorica che ha accompagnato il mondo dell’arte dall’Unità d’Italia fino ad anni recentissimi. Tutto quello che siamo stati in grado di dibattere riguarda il quesito se l’arte sia il petrolio nazionale o un bene totalmente scevro da interessi economici e produttivi ma da considerarsi solo quale matrice primaria della formazione culturale delle persone e fattore identitario.
In sé non è un dibattito sbagliato ma se resta confinato a questa dialettica l’uscita dalla retorica non avviene. E ciò che è confinato nella pura retorica non interessa nessuno».
Cos’è cambiato nello spazio, e nella fruizione, dei musei negli ultimi decenni? Anche in base alla situazione romana di cui si fa cenno?
«In tutto il nostro Paese e a Roma naturalmente, è cambiato il fatto che sono stati introdotti i servizi aggiuntivi nei musei e si è sviluppata una politica di conoscenza del museo presso un pubblico sempre più vasto. Si è cercato di rendere il museo un luogo accogliente e desiderabile. In tal senso è stato fatto moltissimo sia sul piano delle esposizioni permanenti sia di quelle temporanee. È stato recuperato il Palazzo Barberini di Roma a spazio museale allontanandone il Circolo Ufficiali. Questo è stato un gesto simbolico potentissimo che ha onorato le forze della cultura e le forze armate, ed è servito da esempio a molti altri per rafforzare il concetto della dignità dello spazio museale in una vasta dinamica della cultura della Nazione e delle sue capacità organizzative».
Quanto ha bisogno l’arte di una nuova politica e dello Stato e viceversa?
«L’arte, come tutte le attività che si svolgono in questo Paese, non ha bisogno di una nuova politica dello Stato. Ha bisogno dello Stato, la cui condanna a morte sembrava pronunciata fino a poco tempo fa. Se l’opera di risanamento della parte economica e finanziaria dello Stato avviata dal Governo Monti funzionerà, funzionerà anche il risanamento culturale dello Stato con sommo beneficio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e di tutti noi. Personalmente ne sono quasi certo».

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