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St.Moritz guarda all’India. Torna per il settimo anno il festival dell’Engadina, con progetti Gupta, Nalini Malani e Francesco Clemente

di - 4 Agosto 2014
Trenta sedi per un gruppo di artisti internazionali e che quest’anno provengono dall’India o hanno lavorato nel subcontinente. È il focus che la settima edizione del Festival St.Moritz Art Masters mette in scena dal prossimo 22 agosto, sotto la curatela di Monty Shadow e Reiner Opoku, che affermano: «La realizzazione dei numerosi progetti presentati finora in Engadina, hanno cambiato la valle e trasformato l’estate in una stagione dell’arte e della cultura».
Ed ecco che anche in Svizzera si guarda ad Oriente, a quegli autori che raccontano della società odierna del subcontinente, e che si ritrovano nella mostra “India: Maximum City”, con Pablo Bartholomew, Amshu Chukki, Pratul Dash, Ranbir Kaleka, Reena Saini Kallat, Manish Nai, Gigi Scaria, Mithu Sen, Sooni Tarraporevala, Hema Upadhyay, artisti che si confrontano con le sfide delle moderne metropoli indiane, dove infrastrutture perennemente al collasso convivono con la mancanza di un’adeguata pianificazione urbanistica.
Ma c’è dell’altro nella complessità riportata a St.Moritz. Per esempio i progetti site specific di Shilpa Gupta, all’Hotel Castell di Zuoz, e di Subodh Gupta, alla chiesa protestante di St.Moritz mentre Nalini Malani è all’Engadin Museum di St.Moritz; poi ci sono gli artisti della collezione privata della famiglia Choudhrie e anche The Music Room (1958), il lavoro più importante del regista bengalese Satyajit Ray che darà inizio a una rassegna video di 5 giorni, dal 25 al 30 agosto, intorno ai best della filmografia indiana degli ultimi 50 anni circa.
Spazio più istituzionale per Jitish Kallat e Julian Schnabel che lavorano sulla divinità induista Shiva, con Schnabel che la ritrae e Kallat che ne rappresenta i diversi aspetti della vita, alla galleria Robilant+Voena. E di incontri tra passato e presente, tra arcaico e contemporaneo ci parla Francesco Clemente, che alla palestra del paese presenta un’installazione-tenda realizzata in India, pensata come una pittura rupestre o come una cappella mobile.
Infine da segnalare ci sono le 30 opere della collezione Bilderberg, dove i nomi degli artisti non saranno rivelati. Perché? “In questo modo si salvaguarda l’autonomia di giudizio dei visitatori che non sarà intaccata dalla fama dell’autore o dalle tendenze del mondo dell’arte”, si legge nella presentazione.
L’arte nell’ambiente invece sarà protagonista di un nuovo percorso delle sculture: con il riposizionamento dell’intervento di Martin Kippenberger, Portable subway entrance, anche i lavori già esistenti di Olaf Breuning, James Turrell, Roman Signer e Hubert Kiecol potranno così essere scoperti durante tutto l’anno, così come la nuova opera di Leiko Ikemura, installata per questa edizione.
Una kermesse decisamente à la page, e sostenuta da una serie di sponsor importanti come Cartier, Mercedes-Benz e la Stellar International Art Foundation.

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