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Stamattina, alle 10 in Campidoglio, l’ultimo saluto a Carla Accardi. Ne diamo annuncio per volontà della famiglia, con un ricordo di Laura Cherubini

di - 28 Febbraio 2014
Senza Carla. Sembra impossibile a me e a chiunque l’abbia conosciuta. Le sue opere erano la vita stessa. Lei dava forza a tutti perché aveva la forza del suo lavoro. “Carla Accardi maestra di vita” la chiamavo io e anche “la più giovane delle mie amiche”. E infatti aveva conquistato le mie amiche più giovani, la pittrice Izumi Chiaraluce, la scrittrice Giulia Carcasi e Paola Pivi che diceva: «Carla Accardi è il mio guru, la mia donna preferita al mondo». Con lei scompare una delle più grandi artiste viventi. “Artista”, uguale al maschile e al femminile, questo per Carla aveva la sua importanza. Antesignana del femminismo fonderà con un’altra grande Carla, la critica d’arte Lonzi, il gruppo “Rivolta Femminile”, poi qualcosa tra le due Carle si spezzerà: Lonzi lascerà l’arte per la battaglia femminista, ma Accardi no, lei vuole continuare a fare l’artista. Per un’inchiesta tra le allieve sarà allontanata dalla scuola italiana e questa resta una vergogna indelebile della scuola del Belpaese. Ha cominciato a dipingere subito e non ha mai smesso. La freschezza dei suoi ultimi quadri li fa scambiare per opere di un pittore giovanissimo proprio per la sua grande capacità di rinnovarsi continuamente, ma sempre con grande coerenza. Giovanissima, con l’aiuto del lungimirante papà, lascia la Sicilia. Con lei c’è un altro giovane, Sanfilippo, che diventerà anche lui un grande artista e sarà suo marito e padre della figlia Antonella. La prima tappa è Firenze, ma la città va stretta ai due che si spostano a Roma. Diventa l’unica protagonista femminile del gruppo Forma. Il ’53 è l’anno di una svolta radicale: Carla si mette a dipingere a terra traendone energia. Così nel ‘54 nasce il suo inconfondibile segno. Ma nel ’66 ancora una svolta: Carla pensa a un ambiente abitabile, fatto di luce, colore e trasparenza. È la Piccola tenda. Tante volte mi ha raccontato di averci pensato vedendo il Mausoleo di Galla Placidia, ma nell’opera non ne resta nessuna traccia. A questo serviva la storia dell’arte a Carla Accardi: a dimenticarsene. Per questa avventura nella trasparenza complice è un nuovo materiale: il sicofoil. Dimenticare: mettersi in salvo è il titolo premonitore (quasi un motto di Carla) di un ciclo di lavori con il sicofoil. Ma la trasparenza proseguirà nelle opere che lasciano apparire la tela grezza e poi via per altre e sempre nuove avventure che ne hanno fatto un’artista amatissima dagli altri artisti. Hans Obrist ha detto bene: «Carla Accardi artista di artisti».
I ricordi sono tanti, troppi: le cene all’Augustea con Luciano Pistoi, i viaggi a Milano prima in aereo e poi in treno, gli aperitivi a casa sua, circondata da amici, tanti giovani, artisti, critici, galleristi, registi, poeti come Valentino Zeichen. Amava molto la poesia Carla, i suoi bei titoli sono presi a prestito da poeti o costruiti come versi pittorici. E poi il nostro rito domenicale, la cena al Pollarolo con gli amici del cuore, Ernestina e Sandro Pagliero, Mario e Dora, Romolo Bulla e tanti altri che si avvicendavano. Carla era un punto di riferimento a Roma, punto cardinale. Ho curato l’ultima sua grande mostra, partita dalla Fondazione Menegaz di Castelbasso, dal cuore dell’Italia, dove i vividi quadri recenti si confrontavano con storiche opere tridimensionali. Con Maria Rosa Sossai, che si è aggiunta in un secondo momento alla curatela, con Mario Pieroni e Dora Stiefelmaier, con Osvaldo Menegaz e Vincenzo Tini, abbiamo portato la mostra, arricchita di due bellissime opere della Collezione Farnesina, in Polonia, Ungheria e Grecia. L’ultima tappa si è chiusa una settimana fa ad Atene. Ha lavorato fino all’ultimo giorno nel suo studio organizzatissimo. La ricordo sempre al lavoro, anche nelle vacanze che tanto spesso abbiamo fatto insieme: attrezzava la stanza in albergo e dipingeva una piccola tela la mattina e un disegno o una gouache il pomeriggio. Poi Rosaria Mondino e io andavamo a vedere i risultati del lavoro che ogni volta ci stupiva e ci riempiva di gioia. «Il lavoro è la mia vita», diceva sempre «Non ascolto la musica, perché la musica la faccio io con i miei quadri». E anche (come ha ricordato Mario Pieroni sulle pagine di “Repubblica”): “Partire è cominciare”. Cara piccola grande Carla, che il tuo nuovo viaggio ti sia lieve. (Laura Cherubini)

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