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Venezia/9. Spazi liberi per chi e da cosa? Ecco il “Cruising Pavilion” alla Giudecca

di - 27 Maggio 2018
È ospitato nello Spazio Punch alla Giudecca, il padiglione esterno che ha, forse più di tutti, adottato un approccio sovversivo verso quest’edizione della Biennale di Architettura, il cui sottotitolo già ne chiarisce il contenuto: sesso gay, architettura e culture del cruising.

Il “Cruising Pavilion”, progetto curato da un gruppo di giovani curatori internazionali, Pierre-Alexandre Mateos, Rasmus Myrup, Octave Perrault e Charles Teyssou, aperto fino al primo luglio, ospita più di venti opere realizzate da artisti, collettivi artistici o architetti, con nomi che vanno da esponenti di spicco della scena artistica come Monica Bonvicini, Tom Burr e Henrik Olesen ad artisti emergenti come Prem Sahib fino ad architetti come Diller Scofidio e Odile Decq.

La pratica del “cruising”, per chi non avesse dimestichezza con il gergo homo, è la ricerca d’incontri sessuali fra uomini in parchi pubblici, toilette, parcheggi, non-luoghi di varia natura o interstiziali, così come abbondano nei contesti urbani, oppure in club e saune.

Nello spazio partizionato da due alte impalcature sulle quali sono esposte le opere ci si può affacciare sul cortile centrale, disseminato di kleenex e profilattici, dalle pareti perforate, in un richiamo formale ai glory holes. Un chiaro statement emerge contro l’eccezione di “freespace”, tema centrale di questa biennale curata da Yvonne Farrell e Shelley McNamara; questa mostra si prefigge di chiedersi cosa significhi spazio libero, libero per chi o da che cosa, e si unisce a un canto del cigno per pratiche che si avviano a tramontare, come quella del cruising appunto, stroncate da app per incontri, speculazione urbana e reificazione delle sottoculture (LGBT+ inclusa). Le voci qui raccolte questionano la produzione dello spazio etero-normativo e rivendicano l’atto del cruising come gesto radicale di dissidenza verso un’architettura sanitizzata e moraleggiante. All’inaugurazione a corroborare l’atmosfera si offriva, oltre alle consuetudinarie bevande da vernissage, anche tiri di popper. (Mattia Solari)

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