Sfogliando il catalogo della mostra, prima ancora di soffermarsi sulle opere, si ha l’impressione d’incontrare un pittore vero: un artista che amò profondamente la pittura e che mai piegò questa sua passione alle false illusioni della mondanità. I curatori della mostra (Rosanna Maggio Serra, Laura Malvano, Pino Mantovani e Marco Rosci) fanno largo uso dei fitti carteggi del pittore con altri artisti, quali Cino Bozzetti e Serafino Macchiati, per lasciar trapelare la figura di un uomo dai principi saldi, che riuscì a sposare le istanze dell’Impressionismo e post-impressionismo francese con la pittura italiana di stampo verista e divisionista inizialmente, e iscrivibile nel grande filone del Ritorno all’Ordine in seguito.
In concomitanza con l’evento espositivo, nasce infatti l’Archivio privato Ugo Malvano: fortemente voluto dai figli del pittore e finanziato dalla Compagnia di San Paolo, ricco di documenti che ci rammentano le tragiche vicende delle guerre mondiali (le persecuzioni razziali –Malvano era di origini ebree–, la vita di trincea), ma anche i forti legami con la famiglia e gli amici intellettuali (significativa l’amicizia con Henri Barbusse, uno dei protagonisti del socialismo francese e scrittore dalla verve di polemista).
Due sono i poli attorno a cui ruota la vita e l’opera di Ugo Malvano (1878-1952): la natura (la montagna, la campagna, e più raramente il paesaggio marino) e la città (Parigi, Torino e piccoli borghi perlopiù francesi), con splendide parentesi relative alla natura morta e al ritratto. La prima sezione della mostra, documenta ed esplicita la sua passione per la montagna (da Alpino e come istruttore di sci) e la maestria tecnica nel rendere il brillio della neve al sole invernale, attraverso un gesto che rammenta la poetica divisionista (si veda Paese sotto la neve, 1913, collezione Casacci). Ci permette altresì d’immergerci tra i colori dei parchi parigini in autunno, nelle atmosfere cangianti dei ponti sulla Senna, o in quelle rarefatte ed eleganti d’interni borghesi (come il bellissimo interno whistleriano Donna seduta al tavolino, 1910-15, collezione privata).
Malvano frequentò Parigi insieme ad altri italiani espatriati in Francia per riuscire ad ampliare i suoi orizzonti di pittore, attratto da un ambiente in fermento in cui avvenivano le rivoluzioni del Post-impressionismo. La straordinaria serie dei dipinti in blu, come il Nudo azzurro (1910-15, collezione privata), evoca i celebri nudi di Bonnard, segno che il pittore seppe assimilare la lezione di quella pittura raffinata che si sviluppa parallelamente e con meno teatralità dei grandi movimenti d’avanguardia.
Dopo gli anni Trenta, il sodalizio personale e professionale con Nella Marchesini (già allieva di Casorati), spinge il pittore a radicarsi a Torino e modulare la sua arte verso toni più pacati e strutture più semplici, anticipando certa pittura dei “Sei” tramite la rilettura della visione cézanniana del mondo. Lo dimostra la serie dei “terrazzi dallo studio”, delle nature morte con drappi e mele, e dei paesaggi di campagna (Sottobosco, 1946-50, collezione privata). La Natura morta con limoni (1930-35) della GAM testimonia inoltre di come Malvano sia riuscito ad interpretare e modulare il tratto fauve alla Marquez trasponendolo in un gesto meno marcato, ma non per questo meno incisivo, quasi dialogasse con il Morandi delle nature morte anni Cinquanta.
Come suggerisce il direttore reggente dell’Archivio di Stato, Marco Carassi, questa esposizione legittima la personalità di Ugo Malvano tra i nomi di spicco della cultura artistica del Novecento torinese, permettendo di “cogliere i fili di questioni sempre aperte e facendone vibrare le corde in consonanza con la nostra sensibilità di oggi”.
emanuela genesio*
mostra visitata il 31 agosto 2006
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