Il Castello di Rivoli arricchisce l’offerta espositiva dell’inizio del 2005, già rilevante con le personali dedicate a Mario Merz e a Candice Breitz, con “Volti nella folla”, che riunisce opere d’arte, film e installazioni video che raccontano la nascita della modernità, dall’Ottocento ai giorni nostri.
A corollario di questa esposizione, la rassegna cinematografica Bright Lights, Big Cities (il titolo è evidentemente ispirato al celebre romanzo del 1986 di Jay McInerney, tradotto in Italia come Le mille luci di New York, emblema della narrativa minimalista statunitense) approfondisce ulteriormente il tema, attraverso una serie di grandi film del passato. Pellicole che hanno analizzato il rapporto dei cittadini con le realtà urbane nelle quali vivevano.
Come afferma il curatore Francesco Bernardelli, “la rassegna è un’occasione per riconsiderare le modalità attraverso le quali il cinema ha rappresentato e saputo analizzare il rapporto fra il cittadino e la moderna metropoli”. La scelta delle pellicole, funzionale a questa idea, prevede infatti, tra gli altri, due classici del cinema muto come Berlino, sinfonia di una grande città (1927) di Walter Ruttmann e Metropolis (1931) di Fritz Lang, capisaldi di un cinema che sapeva non solo raccontare storie, ma anche costruire vere e proprie “architetture” che avrebbero poi influenzato la cultura dei decenni successivi.
Bright Lights, Big Cities, che presenta ogni fine settimana un film diverso, propone anche altri capolavori, tra i quali L’Age d’Or (1930), pellicola surrealista di Luis Buñuel, ma anche Diario di una donna perduta (1929) di Georg Wilhelm Pabst e Aurora (1927) di Friederich Wilhelm Murnau. Si tratta di film ormai entrati nella memoria collettiva, in grado di esercitare un fascino immediato e di costruire un percorso che conduca lo spettatore a riflettere sulle molteplici sfaccettature che sottostanno al tema della città. C’è spazio anche per il cinema italiano, con La notte (1961) di Michelangelo Antonioni e E io la conoscevo bene (1965) di Antonio Pietrangeli, regista del quale proprio le ultime stagioni critiche stanno rivalutando l’importanza nel cinema italiano degli anni Sessanta. La rassegna si concluderà, contestualmente alla mostra, nei giorni 9-10 luglio, con la proiezione di Stranger Than Paradise (1984), il film che ha rivelato al pubblico internazionale Jim Jarmusch, ed efficace esponente di quel minimalismo al quale il titolo stesso della rassegna fa riferimento.
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