Nato a Londra nel 1997 dall’iniziativa di artisti attivi da anni in ambito underground, Mongrel crea software socialmente impegnato. Il lavoro del collettivo si concentra in particolare sulla questione razziale, che ha ispirato prodotti come National Heritage (1995 – 1998) e Natural Selection (1998). Ma il colore della pelle non è l’unico fattore capace di innalzare muri invisibili all’interno di una collettività. Attaccando la distinzione tra alto e basso, nobile e ‘sporco’, con Uncomfortable Proximity (2000) Mongrel imbastardisce il sito della Tate Gallery lavorando digitalmente su alcuni suoi celebri capolavori ed imbrattandoli con frammenti di realtà: volti tumefatti, escoriazioni della pelle, peli e zanne animali, etc.
Sulla distinzione tra sano e malato, normale e patologico, buono e cattivo lavora invece Rehearsal of Memory, riproposto in questi giorni dalla galleria Velan di Torino nell’ambito della rassegna M-Multimedia, curata da Lorenzo Taiuti e giunta alla sua undicesima edizione.
Il progetto, ideato da Graham Harwood, uno dei fondatori del collettivo, è in realtà antecedente a Mongrel. Proposto nel 1995 come installazione interattiva, rielaborato come ipermedia su cd-rom, Rehearsal of Memory nasce da un’indagine effettuata da Harwood all’interno dell’Ashworth Hospital, un ospedale psichiatrico di massima sicurezza. L’artista intervista i pazienti, scava nei loro ricordi alla ricerca di ciò che li rende diversi, e che ne giustifica la reclusione. Ma quelle che emergono sono immagini di ordinaria follia: il nostro quotidiano sudiciume, che noi cerchiamo di nasconderci e che la macchina, con la sua interfaccia fredda e pulita, ci mette di fronte. Così l’ipertesto, per navigare i ricordi dei tre criminali presi in esame, ci impone di navigarne i corpi, per individuare le tracce che la vita gli ha tatuato addosso. Ogni particolare è la tessera di un puzzle che non può mai essere visualizzato nella sua completezza, il che obbliga l’utente ad una non voluta intimità, ad una vicinanza che non solo sfuma le differenze tra i tre uomini, ma anche tra noi e loro. Solo i volti dei criminali, che sembrano estratti da un trattato di fisionomica settecentesca, consentono di recuperare la distanza, di ricostruire il muro e di mostrarci la nostra normalità. Ma si tratta di una conquista difficile, a chiusura di un percorso che ci ha costretti per lungo tempo ad una urtante familiarità con la follia.
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