La New York di Butler, Coulis e Howard non ha nulla a che vedere con le trasgressioni degli anni ‘60 e ’70, né con la corsa al successo dei decenni successivi. Più che una metropoli, sembra un tranquillo centro suburbano, dove non succede mai niente. I personaggi non hanno nulla della patinata bellezza che ci trasmettono le immagini dei media, hanno volti normali, neanche belli. Non hanno fretta: annusano fiori, siedono in interni borghesi, aspettano. Le tele dei pittori compresi in questo “neo-folk” sono painted narratives, rappresentano situazioni quotidiane, frammenti. Un personaggio còlto in un momento qualsiasi, e subito la mente vi costruisce una storia intorno. A cosa starà pensando la donna appena uscita dalla doccia, mentre si avvolge nell’asciugamano, esposta in un momento così intimo e privo di esibita sensualità? (Ridley Howard, Asciugamano). E la coppia di amanti nel verde, lui si avvicina, lei ha gli occhi chiusi, ma non pare distante? (Ridley Howard, Senza titolo). Altre volte, dietro le tele di Ridley Howard, si indovina un’ambientazione più upper class, ma i protagonisti sembrano distratti, come attori professionisti che aspettano il momento delle riprese, il set già pronto in ogni minimo dettaglio. Spesso le sue immagini hanno una qualità cinematografica, paiono frammenti di un film, o pezzi di una canzone.
Benjamin Butler invece non ama la figura umana: dipinge alberi. Alberi certo riconoscibili, ma con una qualità quasi astratta, brevi spesse pennellate e colori vivaci, forme semplici e geometriche che ricordano Cézanne. Se non sono alberi, sono mountain paintings: da quando sua nonna gli chiese di dipingerle un paesaggio non ha più cambiato soggetto. Un cittadino affascinato dalla natura, dai colori e dalla mutevolezza del paesaggio.
Ma piante e animali compaiono anche nelle tele di Holly Coulis, che spesso gioca sul parallelismo tra uomini e
Personaggi e situazioni banali, assolutamente normali, potrebbero essere i volti dei protagonisti delle short stories di Raymond Carver, ricordando il minimalismo come movimento letterario: storie brevi e senza sbavature, in cui nulla di eroico accade, un’assoluta economia di parole sufficiente però a delineare con straordinaria chiarezza una situazione, un personaggio, un frammento di vita.
Se in letteratura questo filone ha avuto successo, in arte un po’ meno. Il “neo-folk”, con i suoi temi quotidiani, tele figurative senza nulla di scandaloso, che potresti appendere con tranquillità nel salotto di casa, sono l’esatto opposto dell’arte che ha fatto parlare di sé negli anni Novanta. Sono semplici, schiette, immediatamente comprensibili, volutamente (e per questo falsamente) naif. Uno spiraglio, una visione confortante della vita in una città che ancora non si è ripresa dalla botta del terrorismo, che ha bisogno di rassicurazioni, di ripiegarsi nel privato, nell’intimità.
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