Un’inquadratura studiata con precisione assoluta. Un’anziana coppia nella propria casa, alle spalle una finestra che dà su un parco verde. La macchina da presa si sposta dolcemente a destra e a sinistra, inquadrando i volti dei due, rapiti dalle immagini del film che stanno guardando alla tv, e di cui noi sentiamo solo l’audio. Fuori dalla finestra, dei ragazzi nel parco. Qualcosa accade là fuori, qualcosa di drammatico, ma la coppia non si volterà mai a guardare, il film in tv assorbe ogni sentimento e ogni sentimentalismo. E lo spettatore resta impotente, inchiodato alla sedia, fermo a molti schermi di distanza. Lo schermo della macchina da presa, quello della televisione e quello della finestra si frappongono tra lui ciò sta accadendo nel parco. È una scena di violenza, ma la macchina da presa non ha pudore, non abbassa mai lo sguardo. Tutta la vicenda è raccontata in un unico piano sequenza, la macchina sempre alla stessa distanza, l’unico movimento concesso è il lento, irritante ondeggiare dal volto di lei a quello di lui, e dietro di loro il parco, come una cornice. L’effetto finale è drammatico, conciso, di un’intensità quasi insostenibile. Una roba da uscire e farsi un doppio whisky.
È solo uno dei nove episodi che compongono Windows, ultima fatica dell’artista iraniano Shoja Azari, già presentata al Tribeca Film Festival. Nove storie accomunate dalla stessa durezza e dal tema: le finestre. L’autore l’ha definito, semplicemente, “a film about borders”. Sguardi da voyeur sulla vita di persone ordinarie, sui conflitti interiori ed esteriori, sulla malaise della società americana, ma in realtà intrinseca alla condizione umana. Nove storie viste attraverso una finestra, guardando da fuori dentro l’enigma delle vite altrui, oppure da dentro verso l’infinito mondo all’esterno. Immagini dolorose, come dolorosa è l’impotenza di fronte alle barriere che, come finestre in vetro infrangibile, ci tengono chiusi nei nostri piccoli mondi.
Barriere imposte dall’esterno e barriere che ci costruiamo per non soffrire troppo. Schermi, come quello televisivo di A room with a view, che ci fanno confondere la finzione con la realtà, tanto che spesso è la prima ad apparirci più reale e drammatica. E una tecnica cinematografica inusuale, il piano sequenza, che l’autore ha spiegato chiamando in causa il tema stesso al centro delle storie: ogni tecnica di taglio delle scene avrebbe infatti messo in secondo piano il “border”, tema portante della narrazione. Una tensione continua tra il dentro e il fuori, che la quasi fissità dell’inquadratura non fa che accentuare. Come ha scritto recentemente un critico di Premiere Magazine, Windows è una “intimately dark and suspenseful vision of contemporary America”.
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paola sereno
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