Sfrontato per provocazione o per divertimento, incosciente e svagato per ipotesi creativa o per follia indotta da ragionamenti studiati per stupire (in fondo ha scelto di industriarsi proprio dentro a sfondi rococò, dove artificiosità e stupore giocano in casa). Kent Henricksen (New Haven, Usa, 1974) propone con minuziosa e ossessiva ripetitività i suoi marchi “misteriosi” in ogni opera. Cappucci bianchi, neri o grigi, e poi lacci, laccetti e corde. Coercizioni spuntano ovunque sui tessuti stampati, trasformando in ambienti surreali e grotteschi le atmosfere di sapore rococò dei quadretti originari, snaturati dalle aggiunte dell’artista. Rivisitazione intellettuale, polemica o semplice divertissement?
La Galleria Glance si trasforma così in un casa delle bambole in chiave dark, ornata di cornici importanti su stoffe trapuntate con motivi bucolici e galanti, rifinite da accessori-personaggi volutamente infantili. Nelle visioni di Henricksen diventano dark anche gli amanti di quella borghesia francese ritratta e stigmatizzata in ogni attimo fuggente del suo quotidiano da artisti come Fragonard e Boucher. A Dark Love (2006) è il titolo che sceglie per la rivisitazione dall’erotismo sadomaso di una scena idilliaca, con tanto di cagnolino intento a giocherellare tra i due amanti. Il volto di lei viene coperto e anche lui è incappucciato di nero (come un boia), mentre il guinzaglio che mordicchia il cane altro non è che la cordicella che stringe il cappuccio della donna. In Playing in the Pond (I e II), scene di tranquillità pacata in riva al lago vengono trasfigurate da cappi al collo, guinzagli con la funzione di canne da pesca e teste mascherate che emergono dall’acqua per abboccare come pesci. Anche la galanteria alla Watteau è oscurata da elementi bondage (The Seduction, 2006). E persino i bambini, in Woodland Wonders , sono richiamati alla schiavitù: un infante di tessuto stampato sbircia dentro una fontana la testa incappucciata che fuoriesce dall’acqua con gli occhi sbarrati: in Untitled una cordicella ricamata sulla sua caviglia grassoccia lo tiene legato ad un paletto conficcato al suolo come un carcerato d’età prescolare.
L’ironia di Henricksen strizza l’occhio all’arte tessile e a una tradizione di lavori decorativi di gusto pastorale. Lasciando trapelare gli aspetti più cupi della sottomissione in un’ambiguità che forse non si definisce, ma è pur sempre manifesta. È di matrice erotica? Politica? Sociale? Sono amanti sadomasochisti o terroristi i personaggi che si occultano? Sono tonache, burka, tuniche da Ku Klux Klan o lenzuola da fantasmi quelle che indossano? L’ambiguità si fa marchio d’appartenenza, ma cappucci e corde, a ben guardare, sono il simbolo di un mistero circoscritto. La bandiera di un erotismo dark o di una realtà omogenea che, sotto il segno di lacci, guinzagli e costrizioni si dichiara nell’atto stesso di nascondersi. Raminghi, delinquenti, schiavi per scelta, incoscienza, coercizione o piacere. Comunque marchiati nel loro occultamento. Il mistero dei personaggi di Henricksen, in fin dei conti, è limitato. E le possibili ambiguità d’interpretazione diventano infinite proprio quando i fantasmi si tolgono il velo.
barbara augenti
mostra visitata il 16 dicembre 2006
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