Gas Art Gallery ha inaugurato l’8 febbraio, una settimana prima dell’opening collettivo delle gallerie torinesi in occasione delle Olimpiadi. Ma in questo periodo, in città, nulla e nessuno può sfuggire al ciclone olimpico: ecco allora la mini-personale di Salvatore Zito, inserita nel programma delle Olimpiadi della Cultura 2006.
Zito è nato in quel di Cosenza nel 1960, ma dichiara senza mezzi termini il suo amore per la capitale sabauda. I love Torino è il titolo della sua installazione, composta da una quarantina di pinguini: non i nordici animaletti, ma i gelati con lo stick, nati proprio a Torino nel secolo scorso. A vederli così sono divertenti e strampalati, gelati di legno dipinti con scorci della città, ma queste micropitture sono anche un misurato esercizio di tecnica pittorica.
Anche Andreas Leikauf (Austria, 1966) dipinge, ma con un diverso intento: non c’è amore per una città nei suoi acrilici su tela, ma scenari cupi di luoghi anonimi, abitati da una lost generation senza troppe illusioni, con una punta di cinica ironia, rappresentata dalle parole disposte sulla tela come un commento a margine. Rischia quasi di perdersi nella sala un altro curioso lavoro di Leikauf, che ad uno sguardo distratto appare come un pannello di immagini in stile graffiti, abitato da buffi mostriciattoli disegnati su sfondo nero. Ma lo sfondo nero in realtà è composto da tante banconote, una di fianco all’altra, che l’artista austriaco usa come tela per i suoi disegni, incurante del loro valore economico, che anzi stravolge, scrivendoci sopra cifre esagerate e disegnandole a pennarello. Cheap landscapes è il titolo di una delle tele esposte, cheap (economico) come il valore dei soldi in una società in cui l’unico scopo della vita sembra essere quello di sprecare tutte le proprie energie: Waste
L’esposizione prosegue al piano inferiore, dedicato alla presentazione della trilogia di Magdalena Kunz (Zurigo, 1972) e Daniel Glaser (Oletn, 1963), tre sezioni indipendenti composte ognuna da fotografie, una proiezione kinematica e un’installazione. In mostra solo una parte del lungo lavoro che ha impegnato la coppia di artisti svizzeri per cinque anni. In una delle sale, sacchi neri buttati a terra trasudano vernice, anch’essa nera. Alle pareti fotografie scattate come durante un vortice lasciano intravedere personaggi sospesi in aria: è Flyin high. In Babelsberg invece gli artisti stessi allestiscono un set cinematografico (non a caso Babelsberg è il nome dei famosi studios berlinesi) popolato da cupi personaggi nudi e primitivi, che mano a mano sembrano assumere il controllo della situazione, stravolgendo il set, che incombe in primo piano in un intrico di proiettori e treppiedi. Giocano con le possibilità del digitale Kunz e Glaser, attraverso un montaggio al computer di fotografie scattate in studio. E giocano con il senso di non-identità dell’uomo nella società, privato della propria volontà e persino del proprio peso, continuamente confuso tra la realtà vera e quella mediatica.
paola sereno
mostra visitata l’8 febbraio 2006
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