Form Follows Fiction vuole rendere conto del rapporto tra realtà e finzione nella società e nell’arte attuale, dando per inteso che ciò che avviene in ambito artistico riflette di una condizione umana, esistenziale e sociale dai confini molto più ampi e articolati.
La nozione di spettacolarizzazione del mondo, già oggetto delle riflessioni di Debord, di Baudrillard e di altri studiosi, aveva anticipato già qualche anno fa le trasformazioni presenti nella società e nell’arte più recente, ipotizzando la trasformazione con cui oggi ci troviamo a fare i conti. Il confine tra realtà e finzione si fa oggi sempre più labile e inconsistente. Non soltanto nell’arte, ma nella nostra stessa percezione del mondo, forme della finzione, dell’artificialità, della simulazione, inficiano sempre più il senso di realtà e il nostro modo di rapportarci all’esistente.
Si pensi al potere di simulazione dei mass media, per cui anche eventi reali e intensamente drammatici diventano simili a immagini costruite dal cinema o dalla televisione e sono spesso percepiti come spettacoli “mediatici” (ne sono un esempio evidente i tragici eventi terroristici di New York, le guerre, le questioni socio politiche, ecc.). In modo analogo lo sviluppo dell’ingegneria genetica e delle scienze ad essa correlate rendono sempre più complesso distinguere tra natura e artificio, tra organico e inorganico, e non solo dal punto di vista concettuale.
Form Follows Fiction si propone come la continuazione di Post-human del 1992, con l’intento di indagare i mutamenti in atto nell’arte contemporanea dagli anni novanta ad oggi. Il titolo – “la forma segue la finzione” – richiama e rovescia la nota sentenza funzionalista secondo cui è la forma ad adeguarsi alla funzionalità dell’oggetto. Se per i funzionalisti l’utilità doveva assumere un ruolo determinante rispetto alla libertà formale ed espressiva dell’artista, oggi tale prospettiva è sconvolta: la forma segue la fiction, la produzione artistica si conforma (anche ironicamente) al linguaggio dei media, la vita assume i caratteri e le forme proprie della fiction.
La mostra, curata da Jeffrey Deicht (come già Post-human) presenta artisti emersi a partire dalla seconda metà degli anni novanta: da Franz Ackermann a Vanessa Beecroft, da Gabriel Orozco a Tim Noble e Sue Webster, Amy Adler e molti altri.
Di notevole interesse risultano l’installazine di Olafur Eliasson, che simula la pioggia e la porta dentro al museo; le sculture di Murakami che rimandano videogames e ai cartoni animati giapponesi; il video e le fotografie di Vanessa Beecroft, dove donne nude e senza volto si atteggiano in pose plastiche. E’ assente la web art, che pure sta attualmente rivestendo un ruolo di particolare interesse nella questione del rapporto tra reale/artificiale.
Nelle sale del castello sono esposti anche i tableaux fotografici dell’americana Anna Gaskell: sono narrazioni, in cui i linguaggi del cinema e della fotografia si sovrappongono l’uno all’altro.
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