E’ difficile controllare l’emozione davanti al Crocifisso ligneo attribuito a Michelangelo Buonarroti (1475-1564). Sembra gracile, ma pur non esibendo l’enfasi muscolare che sarà caratteristica delle sue opere posteriori, mostra una straordinaria conoscenza dell’anatomia e dell’articolazione del corpo, che a fine Quattrocento a Firenze solo lui poteva vantare. Una perfezione maturata con lo studio diretto di cadaveri, testimoniato dalle fonti e confermato dalle analisi di due esperti di anatomia dell’Università di Firenze, che hanno sottolineato le affinità di trattamento del corpo rispetto ad altre opere michelangiolesche, come il Crocifisso di S. Spirito (1492-94) e il David. A livello stilistico i confronti sono soprattutto col Fanciullo arciere, ora a New York, e col Cristo della Pietà vaticana (di cui appare il diretto precedente), anticipando anche il Cristo del discusso Seppellimento della National Gallery di Londra. Nella piccola scultura di tiglio, come già nel Crocifisso di S. Spirito e poi nel Cristo vaticano e in quello della tavola londinese, ritroviamo la stessa delicata sensibilità dell’ostensione del santo corpo. Un corpo sereno, che è offerto alla meditazione del fedele, secondo il pensiero di Savonarola, che invitava a contemplare la vulnerabilità e la carità di Gesù crocifisso. Caratteri che già si ritrovano nel Crocifisso di S. Spirito, di cui la scultura torinese costituisce un’evoluzione successiva, sia per il tipo umano (dall’adolescente si passa ad un giovane) sia per lo stile più maturo. Tutto concorda per una datazione attorno al 1495 e un’attribuzione a Michelangelo. Del resto, l’aveva già detto Zeri: “se non è Michelangelo, è Dio”.
Si prova quasi un senso di vergogna ad osservare la nudità inerme di Cristo, non più nascosta dal perizoma di stoffa andato distrutto. Ma questo fatto rivela un altro aspetto peculiare a Michelangelo: solo
Era giusto che la straordinaria scultura rinascimentale (già esposta a Firenze e di recente in Giappone) venisse mostrata nella città del suo attuale proprietario, l’antiquario Gallino, nella speranza che si avveri il proposito delle istituzioni piemontesi di acquistarla per i musei di Torino. L’eccezionalità dell’opera non deve però far dimenticare i disegni, le miniature e le stampe in mostra, che documentano l’interpretazione dei temi della Passione da parte di grandi maestri, dal Quattrocento al Settecento. Da ricordare almeno i disegni di Antonie van Dyck (1599-1641) (una Salita al Calvario dalla levità quasi astratta) e di Bramantino (1465 ca. – 1530), le incisioni di Jacques Callot (1592-1635) e quelle dei Tiepolo e le molte miniature, in cui spiccano un codice realizzato dal lombardo Cristoforo de Predis (1476) e il Messale di Francesco Marmitta (1462 ca. – 1505) che introdusse in Piemonte i modi del Rinascimento emiliano.
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stefano manavella
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L'articolo è molto bello, dotato di una particolare sensibilità nella trattazione. Complimenti collega ;)
Katya
P.s: Avrei bisogno di contattarti come faccio?