Dopo un anno fervente, durante il quale ha partecipato fra l’altro alle Biennali di San Paolo e Pontevedra, Massimo Bartolini (Cecina, Livorno, 1962; vive a Cecina) approda alla Gam di Torino, nell’ambito della rassegna che ha visto pochi mesi or sono la partecipazione del duo napoletano Vedovamazzei.
Nel testo della curatrice Laura Cherubini, sul catalogo pubblicato da Hopefulmonster, s’insiste sul concetto di abitare e sul suo concentrarsi su alcuni temi che tornano con insistenza nel corso degli anni. Così, per esempio, l’“axis mundi” che dalla mostra da De Carlo nel 2000 torna alla Gam con Conveyance (2005), vasca circolare al centro della quale si erge un pilastro. I visitatori sono invitati a sedere sul bordo della struttura, con lo sguardo rivolto all’asse verticale, osservando l’acqua che ondeggia, centripeta e regolare, come a far nascere e sviluppare la colonna, o al contrario per eroderla inesorabilmente. È infatti l’elemento liquido un’altra tematica che torna costantemente nell’opera di Bartolini, come per esempio accade nell’ultima edizione di Arte all’Arte. Anche in questa personale torinese, l’acqua ritorna in Flautino (2004), fontanella odorosa che unisce fluidità, fiuto e udito.
Ma il lavoro più imponente e coinvolgente è installato nella prima sala. L’impatto con l’opera è di ordine ambientale, nel senso che si percepisce una chiara variazione della temperatura e un rumore inquietante. La prima sensazione si spiega col fatto che l’artista ha inciso da parte a parte le vetrate della sala, un Disegno di pioggia che fa letteralmente entrare l’esterno all’interno, com’era già avvenuto alla mostra The Moderns al Castello di Rivoli. Quanto alla seconda sensazione, è dovuta a Senza titolo (soffitto scosso) (1995-2005) –la prima data si riferisce alla versione ridotta presentata alla collettiva Moby Dick a Southampton-, che ondeggia pericolosamente sulle teste dei visitatori, alternando luce e cecità con un piglio assai differente dei soffitti “atari” di Pierre Huyghe. E sulla parete di fondo, come a compensare le sensazioni forti provate sinora, Bartolini propone Senza titolo (2005), dolce disegno su carta d’affissione, candido motivo che tende all’informale.
Un lavoro più intimo conclude la visita, e si tratta di Senza titolo (per Mario Merz) (2005). Il motivo della montagna in miniatura in pietra forte torna anch’esso, dotato del noto taglio che permetterebbe di salirci come su una predellina naturale. Per osservare come il proprio battito cardiaco consenta a una pianta di vivere e sintetizzare, grazie all’accensione della luce provocata dall’ingresso nella sala. In realtà la mostra però non si conclude, poiché all’ingresso o all’uscita, un addetto del museo mostrerà nel palmo della propria mano una perla concava, bijoux naturale modificato. Arte come consegna e visione per un solo spettatore, poiché Double Shell (2002) è partita dal museo d’arte moderna di Francoforte per approdare a Torino. Segretamente, quasi. Sicuramente senza schiamazzi. Per “rendere praticabile l’immaginazione”.
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marco enrico giacomelli
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