Continua ad arricchirsi Concetto Corpo e sogno, la rassegna “a puntate” che il Castello di Rivoli dedica all’arte concettuale. A Lawrence Weiner e Susan Hiller si sono aggiunte le sale dedicate a Dan Graham e Joseph Kosuth.
Si rende omaggio all’eclettismo di Dan Graham (Urbana, Illinois, 1942), appassionato d’arte come di architettura ed esploratore degli inizi della videoarte. Children’s day care (1977-2000) è probabilmente la prima opera di arte concettuale pensata per i bambini. Un’installazione in vetro che all’interno ospita monitor e uno spazio per leggere la rivista per adolescenti Mad Magazine, una struttura realizzata in vetro bi-specchiante. Quella della trasparenza e riflessione delle superfici in vetro è un po’ un’ossessione per Dan Graham, che odiava i grattacieli detti curtain-wall, in cui chi è all’interno vede fuori, ma chi è fuori non può vedere quello che accade all’interno dei palazzi direzionali, ben protetti da sguardi estranei.
Un’altra sala del Castello è dedicata all’attività di video-maker dell’artista, che utilizza la cinepresa come strumento per indagare temi a lui cari: la percezione e il rapporto tra punto di vista interno ed esterno. In una serie di video realizzati negli anni ‘70 la cinepresa e il corpo umano diventano un unico strumento. In alcuni le cineprese sono due, in relazione tra loro: è il caso di Roll (Rotolare, 1970), in cui una camera fissa riprende un soggetto che rotola tenendo in mano una cinepresa.
Il secondo video è appunto quello girato dal soggetto rotolante. Anche Helix/Spiral (Elica/spirale, 1973) prevede due cineprese: il primo operatore gira a spirale intorno ad un secondo soggetto, fermo, che a sua volta ruota la sua telecamera a 360° intorno al proprio corpo. I video esposti appaiono un po’ datati dal punto di vista tecnico, ma mantengono la loro carica sperimentale e un bell’effetto mal-di-testa, a forza di movimenti circolari e a spirale della macchina da presa.
Decisamente più sobrio il lavoro di Joseph Kosuth (Toledo, Ohio, 1945; vive a Roma) che come molti artisti concettuali è affascinato in primo luogo dal linguaggio. Niente scultura né pittura dunque, ma scritte e la luce fredda dei neon. Proposizioni che indagano il significato del linguaggio stesso, e che spesso vogliono dire esattamente quello che si vede, tautologie. Ecco dunque una delle opere chiave dell’arte concettuale, riprodotta in tutti i testi e i manuali sull’argomento: One and three chairs del 1965-66: una sedia, la sua fotografia a grandezza naturale, la definizione che il vocabolario dà del termine sedia. Più che un’opera d’arte, l’inizio di un manuale di semiologia, con la spiegazione dei rapporti tra segno, significante e significato.
Poi, striscioni sul modello di quelli pubblicitari, utilizzati nel 1970 proprio a Torino in occasione di una mostra, che riportano il significato del termine astratto tratto da un vocabolario, e neon luminosi per opere che riflettono sull’atto del leggere e del vedere nel momento stesso in cui si legge e si vede l’opera. Parole, vocabolari e frasi gli strumenti del mestiere di Joseph Kosuth, teorico del concettuale, intellettuale animato da spirito filosofico.
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