Il nesso fra arte e scienza è un argomento che negli ultimi anni si è caricato di notevoli significati e implicazioni. Ciò significa che, da un lato, non va affrontato in un’ottica tutta votata al contemporaneo, poiché è dotato di una storia secolare che non può e non deve essere trascurata. D’altro canto, è indubitabile che alcuni fattori siano intervenuti massicciamente negli ultimi tre decenni, tali per cui diversi aspetti della questione abbiano acquisito una rilevanza prima inaspettata. In quest’ottica, pur senza esaurire le innumerevoli sfaccettature del problema, la mostra curata da Marisa Vescovo riesce a mettere in campo un passo triplo, uno spettacolo in tre movimenti che indaga altrettanti aspetti centrali per tentare di comprendere senza castranti pregiudizi il nesso in questione.
Le opere selezionate di Piero Fogliati (Canelli, Asti 1930. Vive a Torino) si rivolgono all’“utopia realizzabile” della Città fantastica, progetto irrealizzato all’interno del quale si è sviluppata tutta la sua produzione matura. È pur vero che pochi mesi or sono il Progetto Science Centre aveva dedicato al piemontese una grande retrospettiva, ma i lavori ospitati dalla Gas e i disegni al Centre Culturel Français acquistano una valenza differente proprio perché inseriti in una triplice più organica nella sua indagine oltre l’autorialità.
Per quanto concerne Piero Gilardi (Torino 1942), dei tre sicuramente il più celebre, vengono proposti alcuni lavori e progetti sia “storici”, come il Vitigno danzante (1989), che recenti come Biosphère (2002). Quest’ultimo è particolarmente interessante perché costituisce una tappa ulteriore della ricerca relazionale di Gilardi, dopo l’ormai esaurita riflessione in merito all’artificialità del naturale esemplificata dai Tappeti natura. Qui si tratta di coinvolgere direttamente lo spettatore nel creare una forma che nasce dalla coniugazione di tecnica ed emozionalità, ma anche di interazione di secondo livello con altri spettatori. L’esperienza è degna di essere condotta, entrando nella cabina ove si creano i propri disegni magnetici su sabbia, successivamente proiettati e manipolabili.
Se dunque Fogliati si occupa dell’aspetto “sociale” del nesso scienza e arte, mentre Gilardi guarda maggiormente al rapporto diretto con l’alterità in chiave emozionale, il lavoro di Claude Faure (Paris 1932. Vive a Saint Augustin) privilegia una riflessione più “accademica”, votata alla dimensione segnica di quel nesso. Particolarmente interessante è l’installazione interattiva La dérive des continents (1990-2004), incentrata sugli aspetti giocosi di una teoria del linguaggio considerata obsoleta dagli specialisti, vale a dire la “somiglianza” fra significato e significante. In questo caso è dunque la dimensione semio-simbolica che viene indagata, rivelando con una certa macchinosità irriverente l’aspetto mitopoietico che ammanta la scienza.
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