Non di rado capita che le gallerie private, una volta conquistatesi un certo credito, rinuncino al lavoro sporco della ricerca di nuovi talenti per dedicarsi ad un’attività molto meno rischiosa. Puntare su figure dal mercato consolidato, magari raccogliendo i frutti degli artisti della propria scuderia che nel frattempo hanno raggiunto una certa popolarità e riconoscibilità. È fisiologico che una galleria di scoperta evolva verso la galleria di mercato.
Lo Studio Raffaelli è certamente una presenza di spicco del panorama nazionale, che avrebbe potuto tranqulillamente vivere del suo. E invece, con una storia ormai pluriventennale alle spalle, Giordano Raffaelli si rimette in gioco: prima inaugura un nuovo prestigioso spazio in città nello storico palazzo Wolkenstein, quindi chiama a raccolta i giovani. Con una selezione dei più interessanti artisti locali emergenti, la galleria si allinea al programma della Galleria Civica di Trento guidata da Cavallucci, che con regolarità si è spesa sul territorio in direzioni analoghe, con progetti come Avances (2002), Situazioni (2003), Check In (2004) e Departures (2005).
Insomma in una città periferica dove non è raro vedere artisti internazionali all’opera come Baechler, Brown, Taaffe, Bertozzi & Casoni, Sierra, Cattelan, Abramovic, Kozyra, Cai Guo-Qiang, si trova spazio anche per i giovani. E scusate se è poco.
Giovani ma non giovanissimi, visto che l’ambito cronologico abbracciato va dal 1971 al 1980. E in effetti chi si attendeva una sorta di condivisione di percorsi e di cultura, magari l’emergere di uno spirito collettivo, è rimasto deluso. Gli artisti in mostra provengono da esperienze assai diverse e antitetiche.
C’è chi, come Carlo Vedova, risolve con sgargiante sensualità pop soggetti tutt’altro che accattivanti, come parti anatomiche e interiora, c’è Marco Adami, per il quale il pop si fa decisamente più aniconico, riducendosi alla bicromia e agli intrecci fitomorfi, a tratti vicini alla sensibilità di Paul Morrison ma anche all’horror vacui della decorazione altomedievale, c’è Federico Lanaro, che mescola reale e immaginifico in un concettualismo esile e romantico, e c’è Laurina Paperina, con il suo mondo surreale popolato di supereroi improbabili e situazioni paradossali.
Un giudizio? Inclemente nei confronti di personalità che muovono da premesse anacronistiche o concettualmente deboli, avulse rispetto ad ogni coordinata di ricerca internazionale o ridondanti, segno di una formazione sviluppatasi in contesti di isolamento e marginalità. Un’eccezione è rappresentata da Laurina Paperina, che dimostra segni di maturazione e di reattività. Come quando fa diventare protagonista della propria videoanimazione la versione caricaturale del gallerista.
alfredo sigolo
mostra visitata il 17 marzo 2006
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