Una sala completamente verde, un divano e tre proiezioni affiancate su un’unica parete senza soluzione di continuità. I tempi dei tre schermi sono sfasati e le riprese diverse, ma a calce di ognuno scorrono i sottotitoli in inglese delle parole pronunciate a turno in finnico dalle giovani protagoniste di If 6 was 9. Parlano a ruota libera della loro età e delle loro esperienze quotidiane rivolgendosi in modo misurato alla telecamera.
Altra sala, tre monitor e una sedia al centro: alternate scorrono le immagini di un rapporto di famiglia tra marito e moglie. Questa volta a parlare è il marito, da sotto le lenzuola e mentre stende con la moglie gli stessi drappi bianchi. In un altro spazio le pareti su cui scorrono le immagini di The house sono una verde, l’altra azzurra e quella a destra rossa, mentre da dietro fuoriesce un bagliore diffuso e in sottofondo un rumore basso e sordo completa l’ambiente percettivo nel quale l’osservatore viene completamente coinvolto. La protagonista è sola e racconta alla telecamera in modo lucido la sua percezione di strane presenze in casa: è in una stanza ordinata e, mentre parla, le altre immagini si spostano su dettagli dell’interno e
La finlandese Eija-Liisa Ahtila immortala momenti domestici di vite femminili dell’area nordica, che sembrano raccolte in video dall’intento documentaristico. In realtà ogni
Slittamento e dilatazione delle immagini non stravolgono comunque l’impianto narrativo delle sequenze, visto che le protagoniste si sfogano in un monologo con la telecamera. Sono sole, escluse da qualsiasi interazione e per questo incapaci di provocare un cambiamento significativo e uno stravolgimento all’interno della loro storia. Riescono solo a raccontarla passivamente.
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