Una mostra dedicata all’arte al femminile, come quella in corso a Trento alla Galleria Civica d’Arte Contemporanea, potrebbe sembrare scontata o già vista. Molte infatti sono state le esposizioni votate all’arte in rosa e il titolo, ad una prima lettura, potrebbe apparire come l’affermazione di un dato di fatto: la posizione ormai consolidata di predominanza delle donne nell’ambito artistico. Questo, però, non è sempre vero. L’idea poi di affidare la mostra a due curatrici come Francesca Pasini e a Caroline Bourgeois, affiancate da un curatore come Luca Beatrice risulta interessante perché punti di vista differenti si intrecciano lungo il percorso espositivo.
Le opere presentate da Beatrice appartengono al punto di vista maschile e non sono necessariamente realizzate da artiste, anche se hanno come soggetto sempre e comunque il corpo femminile. Sono indubbiamente esplicite le immagini proposte da Richard Kern o da Terry Richardson: il curatore parla di “ready made del ventunesimo secolo”, ma anche di “desiderio del desiderio”. Non potevano mancare i film di John Waters e Russ Meyer, che distruggono i luoghi comuni della morale e dell’ipocrisia sulla femminilità imposti dalla società.
Nella selezione proposta da Francesca Pasini, con opere di artiste italiane come Vanessa Beecroft, Liliana Moro, Elisabetta di Maggio, Margherita Morgantin, e di altre internazionali come Shirin Neshat e Kiki Smith c’è tutta una ricerca sull’identità femminile. Ricerca consapevole di attivare, nella “dialettica soggetto-soggetto”, molteplici scambi tra il femminile e il maschile che vivono nel mondo e quindi nell’arte”. È in quest’ottica centrale la presenza del video della e sulla coppia di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini. Le artiste dimostrano la loro specifica capacità di interagire con il mondo, contribuendo con la loro energia ad un dialogo costruttivo, che opera nella particolarità delle varie poetiche arricchendo i linguaggi dell’arte.
Le artiste proposte da Caroline Bourgeois sono invece uno spaccato della creatività del sesso “debole” che va dagli anni Settanta fino ai giorni nostri. Un percorso di crescita e di lotta, che parte dal corpo o dall’immagine delle donne, passando per una decostruzione legata ai loro ruoli, fino ad addentrarsi nella sessualità e nell’intimità.
Le fotografie di Valie Export della serie Identity Transfert o la sua prima performance Tattoo non fanno altro che testimoniare il ribaltamento del ruolo seduttivo imposto alla donna, ma che non corrisponde alla realtà individuale. Annette Messager, Martina Rosler e Rosemarie Trockel lavorano tutte sul rovesciamento dei ruoli femminili imposti sia dalla società maschilista che dai cliché dei media, mettendoli in discussione e arrivando a ridicolizzarli.
La giovane Régina José Galindo proviene da una realtà difficile come quella del Guatemala e porta con sé la rappresentazione di un corpo segnato da un evidente grado di violenza –fisica e morale- che le donne di quella nazione spesso sono costrette a subire. A Trento ha realizzato la performance Pulizia sociale facendosi colpire dall’acqua gelida di un idrante in una fredda giornata di marzo. Astrid S. Klein con Individuality is a monster (2000) fa invece un ritratto dell’individualismo contemporaneo attraverso materiale sonoro, voci di dialoghi e monologhi tratti da film americani degli anni ‘40 e ’50, rimontati e sincronizzati sulla propria immagine.
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