Non poteva mancare a Venezia, dopo la mostra dedicata a Zoran Music, l’esposizione di Ida Barbarigo (1925), sua compagna fino alla morte. A completare così un confronto tra due poetiche, che seppur nei diversi esiti espressivi, presentano inevitabili legami. La spartizione del fare, del pensare e del vivere di Barbarigo con Music sembra infatti aver condizionato in qualche modo, per dirla con Pierre Rosenberg, il processo artistico della pittrice. Ma queste due mostre, a breve distanza l’una dall’altra, ad un più attento esame critico, evidenziano delle relazioni che non fanno che arricchire l’apporto reciproco dei due protagonisti. Lo spazio in cui sono esposte le oltre duecento opere -di vario formato- permette di ripercorrere un arco produttivo che parte dagli anni Sessanta fino ad arrivare a tele recentissime, quasi tutte appartenenti al ciclo I terrestri.
Veneziana a tutti gli effetti, figlia del pittore Guido Cadorin, Ida Barbarigo ha sempre vissuto in un ambiente stimolante da un punto di vista intellettuale, che l’ha portata ad elaborare teoricamente ed artisticamente ogni suo spunto pittorico. Ora questa mostra gli rende un dovuto omaggio che offre l’occasione di fare il punto critico sulla sua opera. L’esposizione si avvale dell’originale allestimento di Daniela Ferretti, una sorta di atelier strutturato con una serie di pannelli poligonali su cui sono fittamente appesi i lavori, con evidente richiamo alla casa-studio dell’artista.
La frenesia degli umani viene rappresentata nella recente serie di tele attraverso il brulichio infinito di piccole figure che si affaccendano in azioni quotidiane. Gli sfondi sono di colore diverso e se Jean Clair, in uno dei testi i
Ma la mostra testimonia anche altre fasi dell’attività pittorica della Barbarigo. Se Saturno (1997) apre il percorso e si pone come origine dei terrestri che si vedranno in seguito, le seggiole e i tavolini, opere dei primi anni Sessanta, fanno parte della rappresentazione informale di Venezia. Passeggiata bizantina (1963), in questo senso, lo è più di tutti gli altri. Persecutore (1978), I Giudici e la Sfinge (1994), altri lavori che precedono la serie dei terrestri, raccontano della consapevolezza di un’umanità attraversata dal senso tragico della vita. L’angoscia e la malinconia sono gli stati d’animo di questi soggetti, molto diversi da quelli che trasmettono i terrestri, apparentemente più gai e fiduciosi.
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