Foto dure, le sue, con una luce tagliente dovuta al reiterato utilizzo del flash, che descrivono soggetti diversi, quasi a mappare una dimensione dell’esistenza che va dai ritratti di persone al focus su interni e cose apparentemente prive di una qualche connessione, se non precaria e occasionale. Frammenti di realtà improvvisamente storditi da una luce in grado di «far vedere le cose talmente bene da instillare il dubbio sulla loro autenticità» (Andrea Bruciati). E in effetti la quotidianità sembra essere concepita come se fosse avvolta in una densità opaca che può essere bucata solo grazie ad un bagliore che la disturba, provocandone una repentina messa a nudo. Una fotografia che coglie una sorta di disagio profondo, quasi esistenziale: quello di una generazione «che sembra andare avanti senza voler ammettere la disperata necessità di nuovi modelli», come scrive Teresa Cos in una breve nota a catalogo, non meno lucida e tesa delle sue fotografie. Installate, nella seconda sala della galleria, in gran numero, più di una quarantina, di diverso formato, alcune con cornice altre senza, proprio sfruttando tutte le possibilità concesse dalla superficie muraria non solo in orizzontale, ma anche in verticale. Qui vi sono anche due altre opere, una sorta di dittico fotografico a parete e a pavimento, e l’installazione audio Either/or (aut aut) di 6 minuti, da cui prende il titolo l’intera mostra. Nella prima sala ci aveva accolto Welcome on board, grande fotografia di un interno di aereo (cm 300×240, ink print su telo vinilico), tesa da quattro tiranti agli angoli, perfettamente simmetrica nella sua impaginazione, compreso il doppio ritratto della Regina Elisabetta che sorride da un poster con la scritta “Long to Reign over us”.
Teresa Cos, Enten-Eller
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