Categorie: venezia

fino al 23.VI.2010 | Stefan Burger | Venezia, Istituto Svizzero

di - 19 Maggio 2010

Il salone passante di Palazzo Trevisan degli Ulivi, sede
veneziana dell’Istituto Svizzero di Roma, è un’area di contatto che, attraverso
gli squarci delle grandi quadrifore trilobate, si proietta fuori, nell’universo
di luce, di eterne polveri d’intonaci sciolti e d’acque specchianti entro cui
s’immerge la grande città lagunare, perennemente morente.
In questo spazio trovano posto i sei lavori che compongono
Irene, mostra
personale di Stefan Burger (Müllheim, 1977; vive a
Zurigo). Un’installazione, un wallpaper e quattro opere fotografiche
trasformano il salone in una camera-tunnel, all’interno della quale Burger
costruisce, e ingegnerizza, una visione sottofondativa della realtà,
relazionandosi efficacemente a diversi temi. E inscenandoli a Venezia.
Il titolo della mostra riprende il nome della celebre ferrocement
motorboat

progettata e realizzata da Pier Luigi Nervi nel 1944. E il cemento, materiale
da costruzione per eccellenza, solido, pesante, concreto, è uno dei due poli
dell’esposizione, che s’impernia sul contrasto critico – e ironico – tra
permanenza e impermanenza, facendone scaturire una dialettica estetica
compiuta.

Cemento – una lastra di cemento – è presente in Prova
di carico improvvisata
, citazione di un’immagine d’archivio del cantiere di Irene. Anche in Colonna d’infamia si gioca sul contrasto tra
duraturo ed effimero. L’installazione scultorea, che prende spunto da un fatto
storico della Serenissima – la celebre contesa Tiepolo-Querini del 1310 – richiama nel
materiale la tecnologia costruttiva nerviana. Due plinti di cemento fungono da
base ai reggiasta di metallo verniciato, incatenati a parete. La struttura
sorregge un esile portabandiera ligneo sul quale campeggia una riproduzione
fotografica, su deperibilissima carta, della citata colonna (che è a sua volta
una permanente memoria d’impermanenza, dato che venne collocata al posto
dell’abitazione – demolita per rappresaglia – del traditore Bajamonte).
L’opposizione tra solidità e labilità viene riproposta in
tre opere fotografiche dedicate all’estetica cosmetica. In Spazzolino da
denti
– elemento
questo caro a Burger, che già lo utilizzò in un lavoro del 2008 – il piccolo
utensile usa e getta, acceso di colore, viene utilizzato dal restauratore per
pulire l’eterna colonna grigia di pietra, in qualche modo sollecitando una
reazione della sua statica immane, o del nostro sguardo sul punto di contatto.


Con Inform,
l’elemento cromatico, plastico, consumistico viene posto al centro della
composizione, e amplificato al massimo, divenendo il testimone, l’icona, il
protagonista della leggerezza transeunte, di quell’hair style attitude, chiave di molti istantanei
edonismi contemporanei che conducono all’affondamento del soggetto epidermico. Proprio quanto accade in Tintura per capelli, dove una modella iperacconciata
pare inabissarsi inesorabilmente nel rio in virtù della propria leggerezza, a
differenza di Irene, nave di cemento a cui proprio il peso (fondativo), e la buona
costruzione, consentono la navigazione.

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mostra nella sede romana

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dall’otto aprile al 23 giugno 2010
Stefan Burger – Irene: la mostra affondabile
Istituto Svizzero di Roma – Sede di Venezia
Campo Sant’Agnese 810 (Dorsoduro) – 30170 Venezia
Orario: da lunedì a venerdì ore 11-13 e
15-18; sabato ore 14-18
Ingresso libero
Info: tel. +39 0412411810; fax +39
0412443863;
arte@istitutosvizzero.it; www.istitutosvizzero.it

[exibart]


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