Avevano promesso “un de Chirico che non avete mai visto e nemmeno immaginato” gli organizzatori della mostra aperta a Palazzo Zabarella. E dopo aver visitato l’esposizione si può dire che la promessa è stata mantenuta, perché le cento opere presenti offrono una panoramica completa dell’arte di questo grande del Novecento, dal carattere non certo facile. Un “genio bisbetico”, così lo definisce Paolo Baldacci (che con Gerd Roos cura la mostra), “molto riservato, che considerava le persone che cercavano di interpretare la sua pittura come dei ficcanaso”.
Chi voglia conoscere de Chirico dunque, non può non visitare questa esposizione, per comprendere, attraverso una ricchissima gamma di opere, quale artista colto e raffinato fosse: Nietzsche, Schopenauer, Eraclito, Pascoli e Leopardi i filosofi e i poeti che leggeva e studiava. Emerge inoltre quanto importante fosse per l’artista la figura del padre e quanto la sua morte lo avesse sconvolto e gettato in una profonda depressione, in quella Melanconia alla quale era strettamente legata la nascita della sua arte e alla quale ha dedicato un’opera.
L’artista prende quasi per mano il visitatore e lo guida alla scoperta di sé stesso, dei suoi simboli e dei suoi ricordi. Parla della sua infanzia, della Grecia dove ha vissuto e che con i suoi miti e i suoi personaggi, (Omero, Edipo, gli Argonauti, Orfeo, Mercurio) ha influenzato tanta parte del suo lavoro. Giorgio de Chirico ci conduce così nei luoghi che lo hanno affascinato: Torino e Parigi, ma soprattutto Ferrara, con le sue mura rosse, gli interni di chiese romaniche, gli spalti del castello estense. “Città quanto mai metafisica”, la definisce, “percorsa da una sotterranea follia, regala sorprese, infonde splendide apparizioni di spettralità e bellezza sottile”.
E poi i famosi manichini, di cui vengono esposti numerosi esempi. Il manichino si fa alter ego dell’artista stesso, rappresentando il bisogno di proiettarsi autobiograficamente e autoanaliticamente in ogni opera. Si, perché non c’è una tela in cui de Chirico non parli di sé stesso, ogni suo dipinto è come un autoritratto. L’artista ci introduce negli interni metafisici, laboratori d’alchimista affollati di geometrie strane, squadre, righe, attrezzi da disegno, carte geografiche, ma anche dolci, biscotti e pani.
Parla di sé come del Pictor classicum, che torna al classico, alla “divina pasta degli antichi” e che realizza capolavori con nuovi manichini che diventano piccoli teatri a sorpresa, mobili nella valle che ricordano ancora una volta la sua infanzia, cavalli in riva al mare come monumenti equestri del passato.
Ci racconta della crisi personale, materiale ed economica degli anni Trenta, del forte calo di ispirazione e di creatività, di come ad opere raffiguranti nature morte, nudi e paesaggi, di un verismo quasi accademico, si intrecciassero “ricerche di invenzione e di fantasia” come amava definirle, cioè la serie dei
Negli autoritratti de Chirico si dipinge “travestito”, come ricorda il fratello, in opere che vanno di pari passo con quelle neobarocche: ancora un nuovo stile con cui l’artista mostrava al pubblico quella capacità camaleontica di trasformare la sua pittura.
Capacità che de Chirico esibirà ancora quando, quasi ottantenne, riprendendo come modelli temi precedenti che non aveva sviluppato a sufficienza, come quelli legati ai Bagni misteriosi e ai Calligrammes di Apollinaire, realizza dipinti neometafisici, attraverso i quali si congeda dal pubblico.
“È stata un’impresa molto difficile da realizzare, ma alla fine ci siamo riusciti” con queste parole Baldacci ha sintetizzato i tre anni di impegno necessari alla costruzione di questa mostra, dove non sono mancate le difficoltà e i colpi di scena.
Ora si accendono le luci, si apre il sipario e appaiono piazze, manichini, gladiatori, cavalli. È l’intera arte di de Chirico ad andare in scena.
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Ciao a tutti! Volevo sapere se qualcuno è andato alla mostra...cosa ne pensate?