Pelle è la prima personale italiana di
Ayano Yamamoto (Kanagawa, 1979; vive a Venezia).
Nella mostra, curata da Alessio Cardin, la sensibilità dell’artista asiatica
incontra la cultura pittorica occidentale, mettendo in luce alcune linee
d’intersezione naturale.
In generale, i modelli estetici occidentali sono affatto
diversi da quelli giapponesi, rispetto alla cui tradizione figurativa il
concetto stesso di estetica risulta improprio. Il disegno e la pittura nipponici
tendono infatti a un’azione unitiva, che non isoli la teoria dalla prassi. Il
vuoto, inteso come componente essenziale della realtà , e in ciò distinto dal
nulla, è al centro della pratica artistica e del pensiero giapponese, che lo
assume dal buddismo zen.
Nel campo integrato dello spazio vuoto (
anatta), campo dei fenomeni ove fare e
conoscere
coincidono, al gesto minimo corrisponde il massimo di senso e, nell’esercizio
della tecnica, di qualitĂ . Il vuoto
è; come la cavità interna del vaso
è parte del vaso, come la pausa tra
i suoni
è parte della musica.
Nella serie dei disegni su carta, Yamamoto risolve sempre
la composizione nel rapporto tra lo spazio bianco e alcuni radi elementi
grafici non simmetrici, sintetici. Con lo stesso criterio sono costruiti i
quadri. La preponderanza dello spazio libero sugli elementi puntuali inseriti
nei dipinti ricorda il
color field painting e
i campi vivi di luce pulsante di
Mark Rothko. Corpi e cose, dissolti in una
sorta di delicata nebbia atmosferica, richiamano i modelli pittorici di matrice
turneriana, in cui l’oggetto è ridotto a una quasi-astratta radiazione
luminosa. Ma anche le delicate modulazioni del tonalismo veneto, che l’artista
scopre ora.
I soggetti sono, apparentemente,
facili. Donne, coppie, azioni e oggetti semplici.
E spazio aperto. Uno spazio agito da Yamamoto con la forza educata della
pittura. Il vuoto non è decorativo, ma concentrato, come nell’
Ă skesis zen. Questi dipinti appaiono come
meditazioni pittoriche, attraverso le quali si avverte l’efficacia
dell’oggetto. Nel vuoto si compie l’azione. Il colore attiva un’ondulazione
quieta ma decisa. Lo spazio è atopico, sciolto, fluido.
Attraverso un ritmo dialettico-fisiologico, un moto
respiratorio, il vuoto si collega al pieno, nel rifiuto di un dualismo che è
coproduzione
condizionata. Una
volta posto il rapporto dello spazio con l’oggetto, l’artista procede
all’ablazione di quest’ultimo. Così, le trasparenze epidermiche di una
pelle sottile, membrana sensibile, si
fanno spazio inter-sinaptico, luogo di confine, di contatto e distanza.
Lo stile incarna dunque la tradizione conoscitiva: nelle
velature luminose e nella morbida rarefazione del colore vi è una
testimonianza emotiva d’impermanenza, della transitorietà di tutte le cose. Sfiorandosi,
nella complessitĂ di un rapporto tattile problematico, coesistono
contemporaneamente. Presenti e agite in uno spazio che è, semplicemente,
con-sentito, contemporaneo.