
Credits: Cristiano Leone
Da bambino, il Giappone era un kimono di seta.
 Lo trovavo nei romanzi struggenti di Kawabata,
 nei corpi rituali e assoluti di Mishima,
 nelle pagine scure del Libro d’ombra,
 come fiamma di candela che illumina la lacca,
 e nei disegni che chiamano anime,
 in cui la malinconia è un pensiero d’acqua.
Nel film La città incantata di Miyazaki,
 la protagonista si chiama Chihiro.
 E lungo il cammino incontra
 chi è nato senza nome
 e chi l’ha perduto senza saperlo.
 Perché in Giappone, smarrire il nome
 è smarrire l’anima.
 E il viaggio serve a questo:
 a ricordare chi siamo,
 per intuire dove andare.
Nome dimentico
 la porta è senza chiave
 eppure si apre

A Tokyo il tempo pulsa come un ottavino stonato.
 Una città in cui ragazze cosplayer incrociano uomini in giacca perfetta,
 dove la metropolitana scorre trasportando volti d’avorio,
 come quello di una Maiko.
 Ma è lasciandola, con un treno sospeso verso sud
 e poi un traghetto nel nulla,
 che ho iniziato a viaggiare.
Naoshima si è offerta come un fiore di ciliegio
 sulla soglia del vento.
 Qui l’arte, come il museo, si respira.
 È anche hotel,
 sì, ma per l’ospitalità,
 che qui è una forma di risonanza.
 Le geometrie di Tadao Ando non interrompono il paesaggio:
 lo ritmano.
 Il cemento trattiene il fiato,
 la luce si allunga come un filo d’inchiostro.
Nel Chichu Art Museum,
 l’attenzione sostituisce l’intenzione.
 Walter De Maria trasfigura una liturgia cosmica:
 una sfera nera riluce al centro,
 monoliti d’oro in equilibrio,
 gradini in processione.
 È un meridiano che segna l’origine.
Oro nel centro
 trattiene il suono
 il vuoto si fa preghiera
Con James Turrell si entra scalzi
 e si attraversa una parte di cielo.
 Una lama di luce scivola dentro,
 da nessun luogo preciso.
 Lo spazio si dissolve,
 si fa specchio tra ciò che si guarda
 e ciò che si è.
Comprendi:
Chiudi le pupille
 il cielo ti guarda già
 luce che abbraccia
Lee Ufan conduce verso altri silenzi
 Le pietre. L’acciaio.
 La distanza misurata tra i gesti.
 Ogni opera è un haiku materico,
 sospeso tra equilibrio e intuizione.
 Camminandoci intorno,
 la forma stessa si apre.
 Penetrandola, ti osserva.
Un sasso basta
 a dire ciò che resta
 fermo e vivo
Perfino le case dei pescatori,
 restaurate con pudore,
 vibrano come corde di koto.
 L’innovazione sfiora:
 è precisione,
 non clamore.
 L’architettura si flette
 come un origami che trattiene il tempo
 nel suo piegarsi.
Poi, Teshima.
Si arriva in barca.
 Il tragitto si fa rito:
 un saluto,
 vento, nebbia, sale.
Il Teshima Art Museum,
 progettato da Ryue Nishizawa,
 è una goccia che scorre sul paesaggio.
 Senza porte né pareti.
 Solo due aperture.
 Da qui entrano luce, canto, e l’acqua.
 Al suolo, una sorgente disegna linee lente,
 come sinapsi.
Sei tu l’opera.
 Sei tu che accadi.
Goccia nel silenzio
 la casa non contiene
 ma lascia entrare
Les Archives du Cœur,
 di Christian Boltanski.
 Una stanza.
 Una sedia.
 Un cuore che pulsa.
 Non sai di chi sia.
 Lo ascolti
 e diventa anche il tuo.
 Ti attraversa.
 E tu diventi tutti.
Batte un cuore
 anche il tuo sa restare
 se sa ascoltare
Il mio cuore non deve essere lì.
 Lo è già.
 Perché il cuore, se è ascoltato,
 non appartiene.
 Si condivide.
Allora comprendo.
 Il viaggio è la più alta forma di performance.
 Perché si compie da soli,
 e insieme agli altri.
 Anche se non li conosci.
 Perché trasforma.
 Non invita al possesso.
 Ma all’appartenersi.
In Giappone ho intuito
 l’arte come relazione.
 Il tempo come presenza.
 L’estetica non è ornamento,
 ma etica.
Chiede attenzione.
 Precisione.
 Grazia.
 Responsabilità.
 E la memoria, come l’onda,
 non torna mai come prima.
 Ma torna.
Viaggio è il rito
 il corpo è la pergamena
 scrive il silenzio
Naoshima e Teshima non sono mete.
 Sono cadenze.
 Domande lente.
 Geografie interiori.
Ogni passo sottrae.
 E sottraendo,
 si disegna l’essenza.
Un passo di meno
 il mondo si fa più chiaro
 e tu, più vero.
Ho desiderato, per renderlo ancora più personale, adottare una forma di prosa poetica ispirata alla struttura dell’haiku. Alcuni veri e propri haiku, scritti appositamente, si inseriscono come transizioni tra i paragrafi, nel tentativo di restituire quella sospensione contemplativa che per me è parte essenziale dell’esperienza giapponese.
Cultural manager, direttore artistico e curatore, Cristiano Leone esplora le connessioni tra patrimonio storico, creazione contemporanea, spiritualità e paesaggio. Ha concepito e diretto progetti per prestigiose istituzioni europee, tra cui Sorbonne Universités, l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici, il Museo Nazionale Romano, il Centre des Monuments Nationaux, la Sovrintendenza Speciale di Roma – Terme di Caracalla e l’Ambasciata di Spagna in Italia. È autore di numerosi libri a carattere filologico e storico-artistico. Il suo ultimo volume, Atlas of Performing Culture (Rizzoli International, 2024), indaga la performance come forma di memoria viva. Ha insegnato direzione artistica, management culturale e performance art a Sciences Po Paris, alla LUISS Guido Carli e all’Università Bocconi di Milano.
È attualmente presidente della Fondazione Santa Maria della Scala di Siena, membro esperto del fondo di dotazione Francis Kurkdjian e della Fondazione Nuovi Mecenati dell’Ambasciata di Francia in Italia. Il suo sguardo attraversa le forme dell’effimero per restituirle come memoria condivisa.
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